Stagno (anni 1939)

I ragazzi di Stagno con don Dino Valdiserra (30 settembre 1939)

Stagno Giovanni Bargagna vive a Stagno praticamente da una vita. La sua, dunque, è una miniera d’oro di ricordi. Ricordi di un paese profondamente cambiato, strutturalmente, ma soprattutto dal punto di vista del tessuto sociale. La parrocchia, il Circolo Acli, le bocce, i tanti ricordi di un paese che non c’è più, che vive ormai solamente nella memoria di chi, come Giovanni, c’era, decenni e decenni fa, di chi ha visto, sperimentato, vissuto. Collenews lo ha intervistato.

 

Giovanni, lei vive a Stagno da quanto tempo?

«Dal 1940».

 

Non si è mai trasferito, dunque?

«No. Sono nato subito dopo l’Arnaccio, quindi sulla carta d’identità ho scritto “nato a Pisa”, ma la mia famiglia era del paese vecchio, dove ho abitato fino a 30 anni fa, poi mi sono trasferito al Villaggio Emilio, ma, insomma, sempre di Stagno si tratta. Frequento però sia la chiesa che il circolo di Stagno vecchio, dove sono cresciuto».

 

E’ cambiato Stagno vecchio, nel tempo?

«Sì, molto. Nelle persone, soprattutto. Gli stagnini d’un tempo sono stati “sostituiti”da livornesi, con storie ed abitudini completamente diverse. Il paese vecchio, sostanzialmente, non si avverte più».

 

Com’era Stagno decenni fa?

«Decenni fa era soprattutto un paese la cui economia era basata sull’agricoltura, sulla caccia e la pesca. Poi, con l’avvento dell’industrializzazione…»

 

Stagno (anno 1940)

Un gruppo di Stagnini con don Dino Valdiserra (19 maggio 1940)

L’Eni da quanto tempo c’è?

«Dagli anni ’30, ’35».

 

Quando lei è nato, nel ’40, dunque il contesto industriale era già avviato…

«Sì. Anche se ero piccolo, parliamo quindi di ricordi per sentito dire, non diretti».

 

Il contesto sociale, di aggregazione, com’era all’epoca?

«Era bello. Il circolo Acli, inaugurato nel ’48, era il punto di riferimento. La domenica, all’una di pomeriggio, c’erano già le persone fuori ad aspettare che aprisse. Ai tempi di Lascia o raddoppia (il quiz di Mike Bongiorno, ndr), già mezz’ora prima che iniziasse il programma, c’era la fila. C’era la corsa per accaparrarsi i primi posti».

 

Questo circolo era un punto di riferimento per giovani, anziani, oppure per entrambi?

«Un po’ per tutti; c’era il gioco delle bocce, quello delle carte e anche per i ponci (ride, ndr)».

 

Com’era la vita delle persone?

«Molto diversa da ora. Tanto lavoro…».

 

Stagno ieri (1959) e oggi (2015)

C’era anche più ricchezza? L’avvento dell’Eni, l’industrializzazione…

«Mah… non direi. Col tempo, magari un po’ di più. Importante era la fattoria di Suese: 40 poderi… Io l’ho vissuta in maniera marginale; mio nonno era cacciatore del commendator Bruzzone. La Suese era una gran bella azienda agricola, con più di 40 poderi, la villa, etc… La vita dei contadini era sicuramente dura, però…».

 

Com’è cambiato nel tempo lo stile di vita delle persone?

«Completamente. L’agricoltura praticamente non c’è più, c’è il comparto industriale, adesso. Stagno si è evoluta molto col Villaggio Emilio: dalle 500 persone del passato ora siamo quasi 6000».

 

E’ una realtà viva il Villaggio Emilio?

«Sì, c’è la Parrocchia (c’è un gruppo di persone che si dà parecchio da fare), il Circolo Arci… Quindi, c’è anche vita sociale, sicuramente. Importante, poi, è la realtà dei campi da gioco, gestiti dal Livorno Calcio, una realtà che attrae molti ragazzi».

 

Secondo lei è un po’ disincentivante la struttura a comparti di Stagno? C’è Stagno Vecchio, il Villaggio Emilio, la zona dell’Aiaccia…. Non è come Guasticce o Nugola…

«Sicuramente è più frazionato. Purtroppo la superstrada, il muro della ferrovia e altro hanno contribuito a dividere il paese. Secondo me sono stati errori gravi, fatti 30 anni fa, quando forse non c’era ancora la sensazione di quello che poi sarebbe potuto accadere».

 

Tre piccoli paesi in uno, possiamo dire?

«E’ un piccolo paese Stagno Vecchio. Un nucleo più grande il Villaggio Emilio, poi c’è la zona del Ponte Ugione. Forse Aiaccia e Ponte Ugione son due zone nelle quali i residenti non si son mai considerati stagnini».

 

Ecco, appunto. In generale, vi sentite più colligiani o livornesi?

«E’ una situazione particolare; siamo nell’immediata periferia di Livorno e il capoluogo comunale è a 15 chilometri. Io, ma credo sia la sensazione generale… sì: ci sentiamo più livornesi che colligiani, specialmente con tutti i livornesi che vi sono venuti ad abitare…».

 

Della Parrocchia invece, che ricordo ha? Innanzitutto, ci son sempre state 2 chiese oppure…?

«La Chiesa di San Leonardo a Stagno Vecchio è stata completata ed inaugurata nel 1864, mentre quella di San Luca è diventata Parrocchia, ricomprendendo anche San Leonardo, nel 1970 circa. Io però ho sempre frequentato Stagno Vecchio; ho fatto il chierichetto qui…».

 

Che ricordo ha dei vari parroci?

«Ci son stati sacerdoti importanti: don Alberto Sarelloni, per esempio, che ora è monsignore, canonico della Cattedrale di Pisa. Attorno alla parrocchia, nonostante il paese fosse piccolo, gravitavano parecchi ragazzi. Ho dei bei ricordi di tutto questo. C’era un bell’oratorio, pur con i pochi mezzi di quell’epoca. La Chiesa era spesso gremita».

 

Accennava prima al fatto di aver servito Messa, da ragazzo. C’era un nutrito gruppo di chierichetti all’epoca?

«Tutti facevano i chierichetti all’epoca, anche se poi c’è gente che si è persa da questo punto di vista».

 

Quali altre realtà parrocchiali c’erano oltre il gruppo chierichetti?

«Anche le ragazze si davano molto da fare per la chiesa, che era, assieme al Circolo Acli, il punto di riferimento. Cosa c’era di bello nel paese di una volta è che, al di là delle idee religiose e politiche, eravamo tutti amici».

 

Come don Camillo e Peppone?

«Sì, c’era fratellanza».

 

In conclusione, qual’è la ricetta per rilanciare la frazione?

«E’ difficile dirlo. Temo non ci sia una ricetta. Se avessi la macchina del tempo, pur con tutte le grandi difficoltà che c’erano, tornerei a 60 anni fa».

 

Più che strutture, mezzi finanziari, dunque, mi sembra di capire che il problema sia il tessuto sociale che è venuto meno.

«Sì, sì. I rapporti personali che c’erano prima ora non ci sono più».

 

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