L’editoriale Quello pubblicato ieri su queste pagine era un vero e proprio campanello d’allarme per la socializzazione nel territorio. Autore, il presidente della Pro Loco di Stagno Emanuele Marcis, che i concetti non li aveva mandati a dire: «gli uomini e le donne che ogni giorno prestano la loro nobile opera di volontariato non sono eterni». «Mi piacerebbe iniziare a veder qualcuno che esce dai Social e si rende disponibile a dare una mano con i fatti». Infine, quello che suona come un avvertimento: «in caso contrario, andremo a tirare delle conclusioni e non si tornerà indietro». Non lo dice proprio espressamente, ma il messaggio è chiarissimo: o c’è un rinnovamento, dei giovani che si assumono delle responsabilità e portano avanti la dimensione della socializzazione nel paese, oppure, come si dice in gergo, “togliamo le tende”.

Questo messaggio va ben oltre il perimetro di Stagno e impone una riflessione a tutto il territorio. Quale futuro vogliamo per le nostre frazioni? Che idea abbiamo dei nostri paesi? Sono dei semplici dormitori, vogliamo lo diventino sempre più, oppure sogniamo per essi qualcosa di diverso? La domanda è necessario porsela e a breve, anche perché il tempo stringe. Parlando con un rappresentante di un’altra Pro Loco del territorio, ieri, proprio in merito al campanello d’allarme suonato da Marcis, mi son sentito dire: «abbiamo fatto di tutto: campagne, manifesti… Di tutto per provare a coinvolgere le persone all’insegna dell’aggregazione, ma non c’è stato nulla da fare». Il vero problema sta tutto qua: dov’è la gente?! La vera sfida, a tutti i livelli, è proprio questa oggi: stanare la gente dalle proprie case. La stragrande maggioranza delle persone del nostro territorio è infatti “non pervenuta”. Per le vie delle nostre frazioni più grandi non vediamo che le solite poche, pochissime, decine di persone in giro; per le strade dei paesi collinari, spesso nessuno, quando va bene siamo ampiamente sotto la decina. É questo il Comune che vogliamo? Certamente, vi sono anche grandi eventi lungo il corso dell’anno che aggregano assai, ma possiamo accontentarci solo di “qualche volta l’anno”?!

Se no, occorre muoversi e, sì, anche investire soldi, per invertire la tendenza, per evitare che la malattia giunga ad uno stadio irreversibile. Chiaramente la ricetta è tutt’altro che semplice e a portata di mano. Anche perché è più che verosimile che ci sia una ragione psicologica individuale e sociologica di massa molto profonda alla radice di questo fenomeno. E se è così, bisognerebbe capire quale essa sia prima di pensare a come poter cambiare le cose. In altre parole: fare la diagnosi prima di pensare alla terapia, ovviamente. Insomma, un percorso lungo, che presuppone l’istituzione di un tavolo (al quale far sedere anche degli esperti) e anche un po’ di investimento economico per creare le condizioni per un rilancio della socializzazione in tutte le frazioni del territorio. Ma anzitutto occorre la volontà politica di andare in questa direzione.

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