La prima volta che ho messo piede nella piccola frazione di Colognole non me la ricordo. Ero troppo piccolo. Qui erano nati i miei nonni, e i nonni dei miei nonni da parte materna e ogni tanto con la mia famiglia, che abitava a Livorno, tornavo in pellegrinaggio domenicale, nei luoghi da cui proveniva. Mi ricordo invece quando nell’82 i miei genitori mi portarono qui, insieme al mio cuginetto, a trascorrere le vacanze estive. Avevamo entrambi 7 anni. Una vacanza decisamente low cost e assolutamente green, in un’epoca in cui né l’una né l’altra parola significavano niente per nessuno. Il paese non era stato ancora del tutto asfaltato. Solo la piazza principale e la via che lo circonda lo era.

 

I ragazzini della mia età ancora scorrazzavano liberi con le loro bici, e nei pomeriggi assolati si riunivano di solito intorno ai locali in disuso delle ormai ex-poste. Le sere e i pomeriggi stava aperto il bar del paese, la cooperativa di consumo, l’immancabile sezione del Partito Comunista e vi era anche una poco appariscente tabaccheria con un telefono pubblico.

 

Chi cercava una persona nel paese poteva chiamare la tabaccheria. Ricordo perfettamente la tabaccaia andare in giro cercando un colognolese chiamandolo a gran voce e pregandolo di venire al telefono.

 

Ricordo le immancabili feste dell’Unità estive e giovani, vecchi e bambini che le sere d’estate affollavano la piazza senza macchine del paese, oltre che il bar e il circolo. Credo sia stato in una di quelle sere che, sentii per la prima volta un mio zio (comunista) parlare con mio padre (socialista) della necessità di una rivoluzione proletaria. A sentirlo parlare credevo davvero che la rivoluzione fosse dietro l’angolo e ricordo che quella parola mi ispirava solo una gran paura. Ovviamente non potevo sapere che il P.C.I. era già passato dal compromesso storico al consociativismo e che la rivoluzione era davvero una prospettiva lontana.

 

Il paesaggio mozzafiato che si vedeva guardando verso la provincia di Pisa già allora mi ispirava il desiderio di chissà quali avventure.

 

Dopo quel periodo di ferie per me indimenticabili tornai a Livorno.

 

Non sono più tornato a Colognole se non per qualche breve visita ai parenti fino al 2009, anno in cui mi sono trasferito stabilmente nella vecchia casa di famiglia.

 

Nel frattempo avevo vissuto in varie città italiane ed estere e rientravo da un soggiorno in Spagna durato circa un anno.

 

Avevo vissuto la realtà di una grande città mediterranea, con circa un milione di abitanti (Valencia) e della capitale del Regno Unito, una metropoli di 7 milioni di abitanti.

 

Nel piccolo centro in cui io e la mia compagna (anche lei con esperienze importanti di lavoro all’estero) andavamo a vivere tutte le attività che animavano la piccola comunità e avevano da tempo cessato di esistere. Sopravviveva ancora la piccola “cooperativa di consumo” e le poste, aperte due giorni a settimana. Nell’arco di questi cinque anni ho visto chiudere entrambe. Non ci sono più ragazzini in giro con le bici e gli abitanti di questa come di altre frazioni di Collesalvetti non hanno più un luogo di ritrovo o di aggregazione.

 

Aumentano invece le case del fine settimana e, a quanto pare i furti, segno che i malviventi vedono in questi paesini abbandonati delle facili prede per le loro scorribande.

 

Rimane invece immutato il paesaggio mozzafiato delle colline pisane e i bei sentieri che dal paese si inoltrano nel “parco delle colline livornesi”. Rimane il bell’acquedotto leopoldino, sempre più a rischio per mancanza di manutenzione e senza più le fontanelle alle quali per secoli i locali avevano attinto l’acqua sorgiva.

 

Nell’arco di questi anni io e la mia compagna abbiamo avuto modo di ospitare molti amici provenienti da mezzo mondo: portoghesi, inglesi, australiani, greci, francesi. Tutti sono rimasti colpiti dalla bellezza dei luoghi e dalla scarsa considerazione che abbiamo per tale bellezza. A Collesalvetti, come in tutta Italia si continua a discutere di come portare più sviluppo attraverso l’ampliamento di aree industriali,  anche a costo di costruire in aree a rischio, anche a costo di cementificazioni insensate e prive di una pianificazione rispettosa di chi in questi territori vive dimenticando che all’estero l’Italia, e la Toscana in particolare richiama soprattutto una idea di ben vivere, di gusto, di armonia, di bellezza.E’ necessario che anche nella nostra Amministrazione si inizi a pensare seriamente alla bellezza come una risorsa e a premiare gli sforzi di chi, da questa bellezza potrebbe far sorgere nuove opportunità di sviluppo, di lavoro, di aggregazione, di creazione di un polo d’attrazione di un turismo consapevole,  al di fuori di un’ottica meramente sviluppista.

 

Alessandro Ottaviani