editorialeL’editoriale Scrivere della morte, della sofferenza non è mai semplice. Quando ho accennato a qualcuno l’idea di realizzare uno speciale su Mattia Schiavetti, comprensivo di interviste alle persone che l’hanno amato e gli sono state più vicine, quel qualcuno non l’ha presa molto bene, sostenendo che, un questi casi, il giornalismo diviene speculazione sull’altrui sofferenza. Pertanto, prima di scrivere ciò che penso di Mattia, di ciò che gli è successo, di ciò che il suo caso mi suscita, vorrei rispondere brevemente a queste obiezioni. La sofferenza è una dimensione umana; non scriverne è semplicemente stupido, dal momento che il giornalismo è la descrizione della realtà, dato che il giornalismo è cronaca, bella e brutta, resoconto delle realtà, nelle sue varie dimensioni, positiva e negativa. Ignorare una dimensione della realtà, pertanto, è stupido e antigiornalistico. Tutto sta nell’approcciarsi in maniera delicata e rispettosa all’altrui sofferenza. Tutto sta, in altre parole, nel fare giornalismo “in punta di piedi”. Questo è il cronista! Colui che non mette la testa sotto la sabbia, come lo struzzo, colui che osserva e descrive nei suoi articoli la realtà, anche tremenda, ma – qui sta il punto di discrimine – con una grande, enorme, sensibilità umana ed empatia.

 

Quando mi sono apprestato ad andare dalla mamma di Mattia per intervistarla, non è stato semplicissimo. Un simile tipo di servizio non è certamente assimilabile al servizio o all’intervista di tutti i giorni. Occorre, in questo genere di lavori, una grande empatia e delicatezza. Ma, stanti queste, è un lavoro che deve essere fatto, che ho fatto volentieri. E l’ho fatto volentieri perché la solarità di Mattia, quella sua incontenibile voglia di vivere, quella sua giovanile frizzantezza che sprizzava da tutti i pori è contagiosa e… giornalisticamente interessante. Giornalisticamente interessante perché è una notizia. E qui entra in campo il lavoro di noi giornalisti. Soprattutto in tempi non positivi, in un’epoca nella quale larga parte dei ragazzi, chiusi nella loro virtuale freddezza, sembra incapace di vivere e divertirsi in maniera sana, la sua naturale gioiosità e voglia di vivere è davvero una notizia.

 

Mattia, dunque, da questo punto di vista, è emblematico di quella gioventù sana, vogliosa di vivere, di relazionarsi, di costruire. E questo suo modo di essere non era evidente solamente a chi lo conosceva bene, a chi si relazionava con lui tutti i giorni. Era evidente anche a me, che non lo conoscevo direttamente, che non mi ero mai presentato a lui, pur essendo un ragazzo del mio paese. Quelle foto su Facebook in cui lui era sempre sorridente; quel volto – le poche volte che l’ho visto dal vivo – così disteso, rilassato, sereno, contento, festoso, aproblematico!

 

Beh… in tempi nei quali la depressione, anche in senso clinico, sembra farla da padrone anche fra le fasce più giovani della popolazione, in tempi nei quali le medesime si bruciano l’esistenza, la sua parte più bella, con la droga, con l’alcool, con le folli corse in auto o altre boiate pazzesche, Mattia Schiavetti, il suo approccio alla vita, il suo stile di vita, quella sua smania di relazionarsi (con tutti: ragazze, amici…), quel sano desiderio di fare sport, rappresenta senz’altro una notizia.

 

Infine, ho realizzato volentieri questo speciale perché, seppur non in senso biologico, evidentemente, Mattia possa tornare a vivere. Quantomeno nella memoria di ciascuno di noi.

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