Fra le aule di Collesalvetti e i campi da gara internazionali, Cristina Dionisi si muove con la stessa precisione che richiede il suo sport. Insegnante alla scuola primaria dell’Istituto “Minerva Benedettini” e figura di riferimento del calcio balilla italiano, Dionisi – già campionessa nazionale a squadre – rappresenterà l’Italia ai prossimi Campionati Mondiali, in programma a Saragozza dal 23 al 30 giugno: un traguardo che corona un percorso costruito con rigore, passione e un’intelligenza sportiva fuori dal comune.
Ma dietro i risultati sportivi si cela molto di più: un progetto educativo radicato nelle scuole, un’associazione sportiva attiva sul territorio, una visione del biliardino come strumento di crescita individuale e collettiva.
Alla vigilia della partenza per la Spagna, l’abbiamo incontrata per raccontare questo intreccio virtuoso fra sport e formazione.

Cristina Dionisi al mondiale 2025
Cristina, sta per tornare a indossare la maglia azzurra in un Campionato del Mondo. Che significato ha per lei questa convocazione?
«C’è naturalmente tanta emozione, ma anche una profonda concentrazione. È la mia seconda convocazione al mondiale, dopo quella del 2017, e ogni volta è un’esperienza totalizzante, che mette alla prova sotto ogni aspetto. La partenza è fissata per il 23 giugno: l’adrenalina cresce giorno dopo giorno, insieme alla voglia di dare il massimo.»
Il suo percorso, però, non nasce in un contesto professionistico. Come si è avvicinata al calcio balilla?
«È cominciato tutto quasi per caso, nel 2012, giocando in un bar di Cecina. Era un passatempo, nulla di più. Poi ho conosciuto alcuni ragazzi di Pisa che avevano partecipato alle selezioni amatoriali della UISP: mi hanno fatto scoprire un mondo più strutturato, fatto di regole, tornei, preparazione. Da lì è iniziata la mia avventura nel circuito agonistico, fino ad arrivare alla FIGEST. Nel 2016 abbiamo fondato la nostra associazione sportiva: un piccolo gruppo di appassionati che oggi conta una cinquantina di iscritti in tutta la Toscana.»
Si chiama ASD Lucca Calcio Balilla, giusto? Ma lei è di Collesalvetti: come si tiene insieme questa geografia così distribuita?
«Sì, il nome deriva dal fatto che, quando iniziammo a competere in Serie A, giocavamo sotto la sigla di Lucca. Anche se oggi il gruppo è formato da persone di tutta la Toscana, quella denominazione è rimasta come memoria del nostro debutto ufficiale. Siamo un gruppo affiatato di una quindicina di atleti, ma nel tempo la rete si è ampliata. È una comunità dinamica, e due dei nostri giovani sono stati recentemente convocati nella nazionale Under 19, il che per noi è motivo di grande orgoglio. Sono segnali che ci dicono che il lavoro fatto sul territorio funziona.»
Parallelamente, è anche insegnante a Collesalvetti. Come si intrecciano sport e scuola nella sua esperienza?
«Per me si completano a vicenda. Insegno presso l’Istituto “Minerva Benedettini” e, in qualità di tecnico sportivo, ho potuto introdurre il calcio balilla a scuola come progetto educativo Operiamo soprattutto nel plesso di Nugola, dove proponiamo laboratori con i tavoli da gioco, insegnando ai bambini non soltanto la tecnica, ma anche il rispetto delle regole, la concentrazione, la collaborazione e lo spirito sportivo. È un’attività fortemente inclusiva, che coinvolge anche alunni con disabilità e studenti di recente immigrazione. A questa esperienza ho voluto dedicare anche la mia tesi di laurea in Scienze della Formazione Primaria, incentrata sul biliardino come strumento di integrazione scolastica. È un gioco che non ha bisogno di parole: mette al centro la relazione, abbatte le barriere e parla un linguaggio universale, che tutti possono apprendere e condividere. Ed è proprio in questo “esserci insieme” che si realizza, a mio avviso, la vera educazione.»
Collesalvetti è anche il suo Comune. Avete trovato un sostegno stabile per svolgere l’attività sportiva sul territorio?
«Con l’Amministrazione comunale ci sono stati diversi colloqui, ma finora non siamo riusciti a individuare uno spazio adeguato: per sistemare otto tavoli regolamentari servono ambienti molto ampi. La sede temporanea proposta, purtroppo, non era compatibile con le nostre necessità. Per il momento ci appoggiamo a Pisa e ad altre sedi in Toscana. Sul versante educativo, invece, restiamo presenti grazie alla collaborazione con le scuole. Ma il nostro desiderio è poter tornare a operare stabilmente a Collesalvetti: sarebbe un bel segnale per i giovani e un’occasione concreta di valorizzazione per tutto il territorio.
Il biliardino è spesso visto come un passatempo. Cosa lo rende, invece, uno sport a tutti gli effetti?
«È vero, questa percezione ancora resiste, ma basta avvicinarsi anche solo un po’ per cogliere la complessità reale del biliardino. Non si tratta di un semplice passatempo: servono preparazione tecnica, resistenza mentale, allenamento fisico, conoscenza accurata del regolamento. Si lavora su riflessi, coordinazione, capacità strategica, seguendo metodi di allenamento strutturati. Le sedute prevedono schede personalizzate, ripetizione di tiri, simulazioni di gioco sia in singolo che in doppio. A questi livelli nulla è lasciato all’improvvisazione: ogni gesto va assimilato, interiorizzato. E proprio la strategia gioca un ruolo cruciale: leggere l’avversario, modulare il proprio stile, capire quando forzare e quando attendere. È in quella sottile arte dell’adattamento che si decide davvero la partita. I migliori sanno cambiare approccio in corso d’opera, cogliere l’attimo giusto. Ed è spesso lì che si misura la differenza tra una buona prestazione e una vittoria.»
Ci sono differenze tra le varie modalità di gioco?
«Sì, e anche notevoli. In Italia si praticano tre regolamenti principali: il tocco libero, che è la forma tradizionale; il gioco al volo, in cui è consentito un solo tocco tra parata e tiro; e il Rollerball, che prevede un massimo di tre tocchi. A livello internazionale si adotta un regolamento “a ganci”, molto diverso e non praticato abitualmente da noi. Ognuna di queste discipline ha caratteristiche tecniche e ritmi propri, e richiede un’impostazione diversa.»
C’è una partita che ricorda con particolare emozione?
«Sicuramente le finali dei campionati italiani a squadre: sono momenti intensi, in cui la fatica, l’intesa con le compagne e la soddisfazione del risultato hanno prodotto un ricordo indelebile e commovente. Ma anche alcune partite ai Mondiali del 2017 mi sono rimaste dentro: vincere in campo avversario, lontano da casa, ti restituisce il senso pieno di quello che fai.»
Avete rituali o simboli che vi accompagnano come squadra?
«Sì, abbiamo delle nostre tradizioni. Usiamo tutti le stesse fascette da tennis attorno alle manopole, per migliorare la presa. Ogni trofeo vinto custodisce le fascette delle giocatrici che hanno partecipato e la pallina con cui si è stato deciso l’incontro: è il nostro modo per rendere visibile il legame di squadra e conservare la memoria di ogni sfida.»
Ci sono dei modelli e dei riferimenti, dei “Maradona” del calcio balilla, che l’hanno ispirata nel suo percorso sportivo?
«Senza dubbio. Quando iniziai, , seguivo le partite trasmesse su Calciobalilla24, un canale dedicato dove si possono rivedere tornei e finali con telecronaca. Due nomi su tutti: Massimo Caruso e Roberta Begnis, due grandi interpreti della disciplina che hanno fatto la storia di questo sport in Italia. Per me sono stati punti di riferimento, ed è un onore oggi condividere la stessa maglia azzurra che hanno vestito quegli atleti.»
Una curiosità: è vero che ha conosciuto suo marito proprio grazie al biliardino?
«Sì, ci siamo incontrati dieci anni fa proprio durante una competizione. Da lì è nata una relazione, poi l’associazione, poi la nostra famiglia. Oggi siamo genitori di due splendidi bambini e condividiamo ancora questa passione. Il calcio balilla è stato un punto d’incontro e continua a esserlo. Non è solo una disciplina sportiva: è una parte importante del nostro quotidiano.»
Ultima domanda. Negli ultimi anni si è parlato molto di sport femminile. Anche nel biliardino le cose stanno cambiando?
«Assolutamente sì. All’inizio era raro trovare più di cinque coppie femminili in un torneo. Oggi ce ne sono anche trenta. È un segnale incoraggiante, che dimostra come il movimento stia crescendo e diventando sempre più inclusivo. Cresce anche la categoria dei veterani, con tanti ex giocatori che riscoprono la passione in età adulta. Il biliardino sta uscendo dall’ombra dei bar per diventare qualcosa di più ampio, e spero che il territorio lo riconosca. Perché è uno sport che sa unire, e sa educare.»