Guasticce Una voce arguta e attenta che custodisce con affetto le preziose memorie e le storie intrise di tradizione del paese. É quella di Patrizia Barbini. ColleNews.it l’ha intervistata il giorno della fiera paesana: un evento che affonda le proprie radici nel passato. Un passato che, grazie alla memoria storica di Patrizia è ancora oggi possibile ricordare. Con il passare del tempo, le testimonianze e i ricordi delle generazioni precedenti acquistano infatti sempre più valore, perché capaci di mantenere vivo il legame con le radici e la storia autentica della nostra comunità.

.
Quali ricorda essere i luoghi del paese che nei decenni passati hanno fatto da cornice per la fiera paesana ? Qual era l’atmosfera che si respirava in quei giorni, in quell’epoca?

«La fiera di Guasticce, un tempo, era un evento di dimensioni molto più ampie rispetto a ciò che vediamo oggi.  Era un appuntamento che metteva in fermento l’intero paese, estendendosi lungo tutta Via Sturzo in un susseguirsi di bancarelle che affollavano le strade fino alla Via della Chiesa.  Oggi i banchi sono stati spostati in un’altra zona, ma ciò che è realmente mutato, oltre alle possibilità di spesa, è certamente il clima e l’atmosfera che si respiravano in quei giorni particolari.  La varietà di articoli era di gran lunga maggiore, immancabili il cibo e i dolciumi, ma abbondavano anche stand di abbigliamento e artigianato locale, e poi non dimentichiamo i giocattolai, ricolmi di balocchi, che all’epoca erano chiamati “cosini”, che facevano la gioia dei più piccoli. In quei giorni, da bambini, andavamo a scuola con estrema gioia, e percorrendo le strade,  già sentivamo il profumo del croccante e delle caramelle che invadeva le vie del paese. Allora, passando premevamo il viso contro i vetri, per sbirciare le leccornie che ci avrebbero aspettato all’uscita, a nostra  disposizione per un intero giorno.  Era un mondo a parte, lontano dal consumismo frenetico di oggi, che rende schiavi di bisogni continuamente indotti. I bambini avevano solo due occasioni all’anno per vedere realizzati i loro desideri: il primo era la Befana, e il secondo proprio la Fiera. Babbo Natale, il vecchio barbuto vestito di rosso non andava ancora di moda; i bambini scrivevano i loro desideri solo a Gesù Bambino, mentre i regali arrivavano in groppa al ciuchino della vecchietta. Questa breve contestualizzazione può da sola dare l’idea di come la fiera paesana fosse percepita davvero come un evento speciale per tutti, al pari di alcune delle principali festività dell’anno; erano anni completamente diversi, come diversa la mentalità che lo alimentava e rifletteva un tempo in cui le cose erano semplici e più genuine».

.
Da quando crede che siano cominciate a cambiare le cose?
«Certamente si tratta di cambiamenti cui si è giunti gradualmente e che ritengo si possano essere ricondotti a due fattori principali. Il primo riguarda la sostituzione delle attività legate al territorio, di artigianato e manifattura locale, con prodotti esteri, standardizzati e meno legati alle specificità del luogo. Questo ha portato a una perdita dell’unicità e del carattere distintivo della Fiera. Il secondo fattore riguarda un cambiamento sociale più ampio. Il nucleo di popolazione autoctona, legato da un rapporto di affetto al paese di Guasticce, si è infatti progressivamente assottigliato, lasciando sempre più spazio a persone in cerca di una vita meno caotica rispetto alle città più grandi, come Pisa e Livorno. Questi ultimi però, pur scegliendo di vivere in campagna, hanno continuato a condurre le proprie vite nel centro cittadino, trattando Guasticce come un luogo residenziale, al pari di un semplice dormitorio e senza un particolare interesse a mantenerne vive le tradizioni originarie. Questo ha portato, purtroppo, ad un progressivo declino delle attività locali, molte delle quali sono scomparse del tutto. Un esempio emblematico è la “Sagra del pane al pomodoro”, che un tempo era famosa in tutta la Toscana ed ora è soltanto un ricordo».
.
A proposito di “ricordi”… Ne ha uno, della fiera, a cui è particolarmente legata?
«Certo.  Si tratta un’amicizia che ha attraversato gli anni, vissuta in un modo del tutto particolare: solo un giorno, ogni anno, il secondo martedì di ottobre, proprio in occasione della fiera.  Franca è sempre venuta, e rappresenta una presenza indissolubilmente legata alla mia personale esperienza di questa tradizione. La conosco, se così posso dire, da non ricordo più quanti anni: ero una bambina quando la incontrai per la prima volta, oltre sessant’anni fa, tra le bancarelle del paese. Lei era una ragazzina che aiutava i genitori al banchetto dei dolciumi, vendendo leccornie ai suoi coetanei: croccanti, torroni e brigidini.  E così ha trascorso tutta la vita, in mezzo alle fiere e ai mercati. aUn mestiere durissimo: non importa se piove, nevica o fa un caldo torrido. Bisogna andare, tutti i giorni.
Vedersi e salutarsi per cinquant’anni, una volta all’anno, può non sembrare significativo, eppure siamo diventate “amiche”. Un giorno all’anno, per pochi minuti, scambiandoci le notizie più importanti. “Come va? Tutto bene? E i tuoi genitori?…” E così via. Questo, insieme ad un abbraccio, era sufficiente a manifestare  l’interesse e l’affetto dell’una per l’altra. Un ricordo speciale è legato al compleanno di mio nonno, che era nato proprio ad ottobre. Franca, in quell’occasione, chiese di potermi fare visita a casa ed io acconsentii volentieri.  Ricordo ancora chiaramente l’entusiasmo della ragazza; era raggiante, felice. Mi confessò che in tutta la sua vita, non aveva mai avuto la fortuna di conoscere un centenario, nonostante fosse sempre in viaggio, percorrendo le regioni in lungo e in largo, di evento in evento. Da quel momento il rapporto è diventato più stretto, con una telefonata ogni tanto, per aggiornarsi su quelle che erano le peripezie di ognuna e le possibilità di incontrarsi alle varie fiere. E così l’ho vista invecchiare poco alla volta e, un poco alla volta, lei ha visto invecchiare me. Franca è entrata in questo modo, gradualmente, nella mia vita, come compagna fedele di questa tradizione, e allo stesso modo, gradualmente, ne è uscita, lasciando spazio a nuove bancarelle, quando la fatica del lavoro ha superato le forze a disposizione».
.
Patrizia ci porta attraverso i ricordi vividi e gli affetti che hanno reso la fiera di Guasticce un evento tanto speciale per lei e per la comunità. Le sue parole ci invitano a riflettere su come i tempi e le abitudini siano cambiati, ma anche su come certi legami resistano al passare degli anni. Franca e Patrizia sono un esempio di come le tradizioni possano creare legami indelebili capaci di resistere allo scorrere del tempo.
.

Segui Collenews su Facebook, clicca “mi piace” qui

Seguici su Twitterclicca qui
Segui le notizie su Instagramclicca qui

.