Collesalvetti “Il diario di Anna Frank” riempie la Sala Spettacolo di Collesalvetti. Ieri nel capoluogo si è infatti celebrata la Giornata della Memoria e in tanti, compresi diversi ragazzi delle scuole, hanno preso parte all’evento. E proprio ai ragazzi delle scuole è stato rivolto l’annuncio dell’assessore all’istruzione Donatella Fantozzi, presente assieme ad altri rappresentanti dell’Amministrazione Comunale; «D’ora in poi a tutti i ragazzi delle quinte elementari il Comune donerà Il diario di Anna Frank».

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Ad interpretare in questa sceneggiatura la parte di Anna Frank una sola attrice, la protagonista ovviamente, interpretata da un’incredibile Margherita Bruni, una giovane dotata di una memoria straordinaria che ha imparato tutta la parte del personaggio (date comprese) in questo lungo monologo iniziato poco dopo le 17 e terminato poco prima delle 18:30. La giovane attrice ha recitato per tutto il tempo sul palco scenico dietro il pannello del proiettore (abbastanza trasparente da far vedere anche la ragazza, ovviamente) sul quale comparivano immagini a completamento della scenografia. Uno schermo, insomma, che separava l’attrice dal suo pubblico, ma non tanto da far sì che non si potesse vedere la ragazza. Insomma, volendo leggerla così, la barriera che separa i ragazzi di oggi da quell’epoca cupa, ma non così tanto da non poter vedere. Il senso dell’iniziativa, infatti, è proprio questo: mantenere un occhio aperto sul passato, non cancellarlo dalla memoria affinché non si ripeta. All’evento era presente infatti anche Giovanni Ughi, il guasticciano sopravvissuto all’inferno dei campi di concentramento tedeschi.

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Il diario di Anna Franck, com’è noto, è il racconto della vita di una ragazza ebrea di Amsterdam costretta nel 1942 a vivere in clandestinità assieme alla sua famiglia per sfuggire alle persecuzioni e ai campi di stermini nazisti. Nel “diario”, che Anna considera un’amica, la ragazza racconta e descrive la vita e le vicende della sua quotidianità, le proprie impressioni sulle persone che vivono con lei. Ciò che è stato messo in scena ieri, altro non è che la drammaturgia di tutto questo. Uno spettacolo che si è aperto con dei rintocchi di campana (cupo presagio dell’epilogo di questa storia che noi tutti conosciamo). Anche perché, come dice Natalia Ginzburg, «cominci la lettura con l’angoscia di chi già conosce l’epilogo». E poco importa che qui non si trattasse di una mera lettura, ma di una sceneggiatura teatrale; l’epilogo drammaturgico è sempre il solito. E proprio da questa necessità di consapevolezza nasce l’urgenza bruciante di raccontare questa storia, per conoscere, per non dimenticare, per esorcizzare quell’angoscia e fare in modo che si sublimi in riflessione.

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Uno spettacolo che lascia il segno perché racconta la vita semplice di una ragazza come tante, che ora scarta i regali del compleanno col cuore traboccante di gioia, ora riflette sulla mancanza di un’amica e su quello stesso diario che diviene una sorta di amica immaginaria. E ancora: la carriera scolastica, i primi amori… Una vita semplice, comunissima, nella quale ad un certo punto piomba l’orrore della storia (di quella storia con la “s” volutamente minuscola, quella cronaca della vita dell’umanità da dimenticare e non dimenticare al contempo): le leggi antisemitiche, le sventure degli ebrei (e non solo), le privazioni, le limitazioni, la segregazione, la costrizione ad una vita di reclusione nella paura (assieme ad un’altra famiglia che va a vivere con loro: i signori Van Daan con il figlio Peter, con cui nasce un tenero amore e infine l’ultimo arrivato: il signor Dussel), il turbamento interiore, l’angoscia di morire, la paura per sé e per i propri cari, la gestapo, gli arresti… Tutto raccontato, interpretato con pathos e teatrale immedesimazione, dalla giovane Margherita Bruni, momento dopo momento, data dopo data, fino alla fine. Fino a quell’ultima annotazione, datata  1º agosto 1944; il 4 agosto infatti l’alloggio segreto verrà scoperto e tutti i suoi abitanti arrestati. Cosa è accaduto in seguito, l’esperienza orribile ad Auschwitz-Birkenau e la morte per tifo nel campo di concentramento di Bergen-Belsen nel 1945, non ce lo ha raccontato il diario, bensì la storia. Quella storia che appare così lontana… e al contempo così vicina. Quella storia su cui ancora oggi si continua a riflettere.

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diego.vanni@collenews.it

 

 

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