Logo CollenewsL’editoriale Sono ormai diversi anni che a Guasticce la (all’epoca) famosa sagra del pane al pomodoro non c’è più. Erano tante le persone che vi partecipavano: tanti guasticciani (il senso di comunità nel paese è indiscutibilmente calato da quando è venuta a mancare questa occasione), ma anche tanti residenti nelle altre frazioni del Comune di Collesalvetti, così come veniva gente da Livorno, da Pisa, da Cascina e altre località.

 

Circa 10 giorni di festa che in piena estate ravvivavano il paese e creavano l’occasione per uscire di casa, incontrarsi con i compaesani, scambiare due parole, bere qualcosa in compagnia. Fin da prima dell’ora di cena c’era già chi si riversava nella piazza principale (dove già echeggiava l’accompagnamento musicale): due chiacchiere, magari mentre si sgranocchiava la caratteristica pasta fritta, un po’ di racconti di vita… C’era poi chi si fermava a cena. Già: la cena. Con le donne in cucina a preparare le portate, gli uomini a cuocere la carne, i ragazzi a servire ai tavoli. E nel dopo-cena, via alle danze. Certo, non è che ci fosse un format e una musica esattamente a misura di giovane, fatto sta che tutta la comunità guasticciana si ritrovava tutta e con esemplare sinergia si adoperava affinché quel contesto divenisse appetibile anche per chi non era del paese. Con successo, perché di fatto la gente veniva anche da fuori.

 

Poi, ad un certo punto, tutto è venuto meno. Sulle cause, il dibattito fu nutrito. C’è chi sosteneva che la location (la piazza principale del paese) fosse inadatta e chi ritiene che sia venuto meno quel senso di comunità che era il presupposto fondamentale di quella coesione, di quel gioco di squadra, che portava al risultato finale. Probabilmente c’è del vero in entrambe le versioni. Quanto al primo punto, più volte si è parlato di un’alternativa: l’area in fondo a Via della Colmata, dove si trova l’ex sede scout poi divenuta scuola temporanea per i bambini di Castell’Anselmo. Ma è stato un dibattito dalla vita breve. Che comunque si lega strettamente all’altra questione: il senso di comunità. Ci fosse una Pro Loco, come in altri paesi, potrebbe candidarsi per la gestione di quell’area e, mettendo assieme le forze propositive del paese, chi ha voglia di darsi da fare e valorizzare la frazione, provare a rimettere in piedi una realtà, quella della sagra che ha fatto la storia del paese. Perché in questo, come in tutti gli altri paesi, la storia non è mai fatta di “grandi eventi”, bensì di piccole cose. Che comunque, come in questo caso, non sono poi così piccole perché richiedono tempo, impegno, dedizione, capacità organizzative, di reperire fondi e di fare squadra.

 

Ma l’elemento principe, quello senza il quale tutto il resto, pur sussistendo, ha la consistenza di una bolla di sapone, è il senso di comunità, di appartenenza al paese; l’amore per la propria frazione. Ed è sulla sussistenza o meno di questo elemento che occorrerebbe a Guasticce iniziare ad interrogarsi. C’è ancora un senso di comunità?! Già il porsi la domanda sarebbe un segnale importante, indicativo del fatto che si sono dei presupposti per poter pensare a creare nuovamente, con il contributo di tutti, qualcosa che unisca tutta la comunità e attiri pure gente da altre località.

 

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