Logo CollenewsL’editoriale L’ultima in ordine di tempo ad “andarsene” è stata l’associazione “Carnevale colligiano” (leggi qui). Ma non è l’unica realtà che è venuta a mancare. Già da anni, solo per fare un altro esempio, la sagra del pane al pomodoro di Guasticce ha chiuso i battenti. Per non parlare di altre realtà che pur essendo sul territorio formalmente, di fatto di “colligiano” non hanno niente: coloro che ne fanno parte sono tutti di altre zone. E di quelle che pur essendo nate come espressione del territorio, di fatto si sono trasferite altrove, senza portarsi dietro se non pochi colligiani. E se la motivazione che sta dietro alla chiusura dei battenti di “Carnevale colligiano”  è la mancanza di gente, di volontari che si adoperino affinché la tradizione possa andare avanti, non diverso è il caso della sagra guasticciana.

 

Faceva impressione vedere, finché è durata, settantenni e ultresettantacinquenni a montare le baracche o ad allestire quant’altro fosse necessario per la kermesse paesana alla quale affluivano persone anche dalle altre frazioni del Comune e dalle due province. Ecco, questo è il sintomo evidente di un qualcosa che non va. Dove sono i giovani? È la domanda che tutti si pongono. È senz’altro vero – si può addurre a giustificazione – che i giovani oggi sono sempre più presi dalla comprensibilissima necessità di “concretizzare” per crearsi un futuro, velocizzando gli studi e portando curricula in maniera compulsiva in quante più aziende possibile. È una giustificazione più che valida perché la crisi economica si fa sentire sempre più, continua a mietere vittime; c’è una Pubblica Amministrazione che paga con estremo ritardo i fornitori, ma esige i propri crediti in tempi record; c’è la morsa schiacciante della burocrazia; ci sono sempre meno opportunità(e di qui la fuga verso l’estero di tanti)… Tutto vero. E in un contesto simile è più che giusto che i giovani pensino più a trovare un lavoro col quale mantenere sé stessi e i loro futuri figli piuttosto che a sagre e kermesse varie.

 

Dall’altro lato, però, sono poi dati sociologici di altro tipo: l’immagine, il luogo comune dell’adolescente estraniato, alienato, rispetto al mondo reale, tutto preso dai social network, dai giochi e dalle innumerevoli applicazioni del proprio smartphone non è certo un’invenzione, ma un dato della realtà. E se la ricerca spasmodica di un lavoro può forse giustificare il disimpegno nel sociale, nel volontariato, in quell’associazionismo che porta avanti quelle tradizioni locali che sono il DNA di un territorio, questa smartphonemania alienante, no. Ma al netto di tutto questo la domanda da porsi è un’altra: i ragazzi di oggi sono “colligiani” (non in senso anagrafico)? Si sentono parte integrante di questo territorio? Se sì, dovrebbe esser naturale l’impegno civico. Se no, invece, c’è un’altra domanda da porsi, che tutti gli adulti, tutti i membri di tutte le associazioni dovrebbero porsi: c’è una responsabilità degli adulti in tutto questo? Fanno di tutto per integrare i ragazzi nelle loro associazioni grazie alle quali il territorio è vivacizzato e ha un valore aggiunto? Non è che per non perdere storiche e consolidate posizioni sociali, per non perdere quella piccola fettina di “potere” (fra mille virgolette) e visibilità sul territorio, si evita il ricambio generazionale?

 

Ciascuno faccia la propria analisi e si dia la risposta che crede. Una cosa è certa (e talmente ovvia da vergognarsi a scriverla): il futuro sono i giovani. Se si vuole che le tradizioni locali si perpetuino nel tempo la strada è una sola: la loro inclusione.

 

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