Mattia 2Guasticce Giunta l’ora dell’appuntamento per l’intervista, in casa Schiavetti, vengo fatto entrare nella cameretta da letto di Mattia. E’ intatta. Come se fosse ancora vivo. Sopra il letto, un pallone con tutte le firme dei ragazzi della squadra; nel cassetto, la biancheria pulita e ordinata; sullo scaffale, i 16 euro che aveva in tasca al momento dell’incidente ed il suo portafoglio, con la carta d’identità, la patente e la foto di un ragazzo, un suo amico, che era deceduto in un incidente stradale. E poi, gli abiti ancora appesi ad un appendiabiti da porta; il quadro di Batman; i libri di scuola; le foto; la maglietta della sua Juve; quella delle calcettate; il poster dei compagni di classe. E’ in questo contesto, nel quale tutto parla di lui, della sua vita, che la mamma, Paola Nardini, si apre con Collenews. I ricordi, gli amici, il suo stato d’animo, i sentimenti nei confronti di chi ha investito il suo ragazzo. Quel ragazzo la cui scuola gli ha intestato il laboratorio di meccanica; quel ragazzo i cui prof hanno ancora la sua foto sul cellulare; quel ragazzo cui lo stabilimento balneare che frequentava ha creato un evento un sua memoria, che è già alla seconda edizione.

 

A due anni dalla scomparsa di Mattia, qual’è il suo stato d’animo?

«Sono a terra; sono una persona distrutta. Vivo perché devo vivere; perché ho una bimba di 14 anni. Se non avessi lei, la mia mamma, i miei affetti… Può sembrare che io stia bene perché ho gli amici; vado al mare; guardo l’Italia, ma una parte di me è scomparsa con lui. Queste cose non possono passare; una mamma che vede morire il proprio figlio… è una cosa contro natura. Una malattia è già una cosa diversa. Uno si prepara psicologicamente, pian piano, ma vederlo partire col sorriso e non tornare più…».

 

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Uno scorcio della camera di Mattia

Quali i suoi sentimenti nei riguardi di chi l’ha investito?

«Io ce l’ho con la legge. Dopo una certa età alle persone andrebbe tolta la patente. Prendono i farmaci per il colesterolo, per il diabete, altri farmaci e poi… si mettono alla guida».

 

A così tanto tempo di distanza, gli amici continuano a scrivere sulla sua bacheca Facebook messaggi affettuosi. Mattia, dunque, continua a vivere nella memoria delle persone. Che effetto le fa questo?

«Fa piacere. In un certo qual modo, questo contribuisce a tenerlo in vita. Talvolta vedo anche di persona i suoi amici. E’ una gioia vederli, ma c’è purtroppo anche il dolore perché Mattia non c’è più».

 

Com’era Mattia in casa, nella vita di tutti i giorni? 

«Un pigrone. Per fargli fare le cose… Alla fine le faceva, ma… ce ne voleva! Se, per esempio, gli chiedevo di tagliare l’erba o di passare l’aspirapolvere, all’inizio diceva di no, ma poi lo faceva».

 

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Uno scorcio della camera di Mattia

Un episodio che le è rimasto particolarmente impresso nella memoria?

«Il giorno prima di morire, quando è tornato dalla prova d’esame e mi ha detto: “Mamma, sono strabravo! Ho fatto la prova di meccanica e ho preso 15”. Era uno che riusciva, uno molto sicuro di sé. Ha fatto 3 guide e ha preso la patente per la macchina, idem per quella dello scooter. Sì, era molto sicuro di sé e questo è veramente importante».

 

Che ne avete fatto della sua cameretta?

«E’ intatta. Come se fosse ancora vivo. Sopra il letto, un pallone con tutte le firme dei ragazzi della squadra; nel cassetto, la biancheria pulita e ordinata; sullo scaffale i 16 euro che aveva in tasca al momento dell’incidente ed il suo portafoglio, con la carta d’identità, la patente e la foto di un ragazzo, un suo amico, che era deceduto in un incidente stradale. E poi, gli abiti ancora appesi ad un appendiabiti da porta; il quadro di Batman; i libri di scuola; le foto; la maglietta della sua Juve; quella delle calcettate; il poster dei compagni di classe…».