I social non sono soltanto un luogo in cui esibire, ma un laboratorio in cui sperimentare storie. C’è chi li abita distrattamente, e chi invece li trasforma in un palcoscenico narrativo. Federico Cappellini — per il web Nathan Wolf — appartiene senza dubbio alla seconda categoria: quella degli artigiani della parola digitale, capaci di coniugare la leggerezza di un meme con la profondità di una riflessione sociale e culturale.
Originario di Vicarello, profondamente radicato nella cultura dei millennials, Federico ha costruito nel tempo una comunità di lettori e curiosi, unendo la divulgazione alla narrazione generazionale attraverso un linguaggio fluido, capace di oscillare tra citazioni colte e l’instant culture propria di Instagram.
Con Ohm, la sua ultima fatica letteraria pubblicato da Bookabook, trasporta sulla pagina lo stesso impasto linguistico che ha conquistato i suoi follower: tre protagonisti sospesi tra precarietà, illusioni digitali e un costante bisogno di reinvenzione. L’opera, che l’autore definisce una “GIF generazionale”, esplora gli attriti di una realtà ormai filtrata da una quotidianità ibridata con la dimensione online, nel racconto di una generazione sospesa tra alienazione e ricerca di senso.

Nathan Wolf è il nome con cui ti conosce la tua community online. Come nasce questo pseudonimo e che tipo di identità veicola sui social?
«La scelta dello pseudonimo è nata inizialmente da una necessità pratica e professionale. Lavorando da anni come copywriter e ghostwriter, quando ho iniziato a esplorare la narrativa avevo sentito il bisogno di tracciare un percorso parallelo, che non fosse direttamente collegato al mio nome. Volevo mantenere una certa distanza, una sorta di discrezione, soprattutto in una fase in cui il rapporto tra autore e pubblico era percepito diversamente rispetto a oggi.
Il soprannome “Wolf” mi accompagna fin dall’adolescenza, legato al mondo dei videogiochi e dei nickname scelti con quella leggerezza tipica di quegli anni. Ho unito queste radici digitali alle iniziali “NH”, che sono un omaggio a Nabokov e Victor Hugo, due autori fondamentali per la mia formazione. Questo nome rappresenta per me un po’ una cifra identitaria che sintetizza le mie diverse passioni e modalità espressive, la cultura digitale e quella letteraria, che cerco di far convivere nei miei contenuti».

Instagram e i social in generale sono spesso associati a contenuti effimeri e di consumo rapido. Tu invece li consideri un luogo per un discorso critico e culturale. Come concili questa doppia natura?
«Quando ho aperto il mio account, l’intento era parlare delle mie passioni: letteratura, storia, cultura. Inizialmente, la mia ambizione era anche raccontare la storia attraverso piccoli aneddoti, perché credo fermamente che l’aneddotica sia un veicolo potente per restituire vitalità a temi spesso irrigiditi dalla narrazione accademica.  Col tempo, ho scoperto che questo approccio funzionava altrettanto bene con la letteratura, poiché dietro ogni autore si nascondono biografie affascinanti, retroscena insoliti, storie che raramente arrivano al grande pubblico. È stato in questo contesto che ho realizzato come i social possano essere non soltanto delle vetrine, ma autentici laboratori narrativi, capaci di ospitare contenuti complessi attraverso formati sintetici: dai meme ai brevi video, dalle storie ai post testuali. Qui posso intrecciare cultura digitale e divulgazione letteraria in un’unica forma in un linguaggio familiare insieme familiare ma intellettualmente  stimolante. Questo equilibrio è la sfida quotidiana: mantenere la profondità e la qualità del discorso pur sfruttando i codici e i tempi di fruizione tipici del web, per trasformare l’attenzione frammentata degli utenti in un’esperienza di scoperta culturale».

Scorrendo il tuo profilo, si scoprono in pochi secondi curiosità editoriali e letterarie: dalla cifra record pagata per un manoscritto acquistato alla cieca, fino all’insospettabile intreccio tra CIA, intelligence britannica e servizi segreti vaticani attorno al Nobel di Pasternak. Questa attenzione per ciò che resta ai margini si riflette anche in un progetto di divulgazione più ampio su Twitch. Ci puoi raccontare questa esperienza?»

«Le curiosità che emergono dal mondo letterario sono spesso sorprendenti e rivelano autori dimenticati o poco letti, emarginati dalla cultura dominante. Offrire alle persone queste storie di talenti, significa, talvolta, riaccendere il desiderio di leggerli. Quanto a Twitch, il nostro territorio ha la fortuna di contare alcune figure di spicco nel panorama nazionale della divulgazione culturale digitale, come Dario Moccia e Davide Masella. Grazie alla loro amicizia e collaborazione ho potuto conoscere da vicino le potenzialità di questo mezzo, che è molto più sfaccettato e vitale di quanto si possa immaginare. Dopo alcune partecipazioni alle dirette di Davide, è nata una rubrica settimanale: ogni mercoledì, dalle 10:30 alle 12:30, ci ritroviamo per presentare un libro, raccontarne trama e contesto, aprendo la conversazione a riflessioni più ampie. In una delle ultime puntate abbiamo parlato di “vite controverse”, raccontando la figura di Vladimir Petrovič Demichov, pioniere quasi dimenticato della trapiantologia. Ben prima di Barnard, celebre per il primo trapianto di cuore nel 1967, operava in condizioni proibitive e conduceva esperimenti controversi, come quelli sui cani. Un grande scienziato, ma anche un personaggio segnato da dilemmi etici: esempio perfetto di quelle storie che meritano di essere riportate alla luce senza nasconderne le ombre.»

Dall’interesse per il dialogo tra mondi e generazioni diverse nasce il tuo ultimo romanzo, “Ohm”. Un titolo che evoca la legge fisica ma diventa metafora della condizione umana contemporanea. Qual è stata l’urgenza che ti ha spinto a raccontare questa storia?

«Scrivo soltanto quando sento di avere un’urgenza profonda, e “Ohm” nasce dal bisogno di dare voce a un vuoto nella letteratura contemporanea, ancora troppo legata a codici conservatori e istituzionali che ignorano i linguaggi delle nuove generazioni. Volevo colmare questa lacuna portando in prima pagina un pezzo di realtà – la cultura digitale – che, piaccia o meno, è imprescindibile per comprendere il presente.
Negli anni, infatti, mi sono reso conto di come, con amici e coetanei, condividessimo un linguaggio fatto di riferimenti a videogiochi, anime, manga, film e cultura pop. All’interno del gruppo quel contesto era immediato, cristallino, ma per chi ne restava  fuori risultava quasi indecifrabile. Ho compreso che non si trattava di un semplice gergo, bensì di un vero codice culturale, un sostrato comune di riferimenti e citazioni nate dall’esigenza di riconoscerci in qualcosa che il “mondo ufficiale” non ci offriva.
Era, ed è, “cultura nella cultura”: un dialetto identitario nato nella generazione cresciuta con il web, in netto contrasto con i codici espressivi tradizionali. La costruzione di un sistema comunicativo così complesso può nascere solo da una necessità di riconoscimento in un mondo che non te ne offre alcuno. Per me, questo linguaggio è lo specchio di un’alienazione più ampia: la risposta creativa di chi non si riconosce nelle narrazioni dominanti e costruisce una nicchia espressiva, un mondo parallelo dove affermare sé stesso. È un’infrastruttura culturale nata per urgenza: senza questo bisogno di identificazione, semplicemente non sarebbe esistita. È, in un certo senso, una partenogenesi del linguaggio».

La scelta del titolo “Ohm” evoca immediatamente la legge fisica che descrive la relazione tra tensione, corrente e resistenza. Come è nato questo legame tra fisica e narrazione umana?

«L’ispirazione è nata per caso, in giardino, mentre osservavo mio padre — perito elettrotecnico — smontare una lampadina. Guardando le “interiora” del congegno sparse sul tavolo, mi disse: “Bisogna stare attenti, perché la legge di Ohm non ammette errori.” Quella frase, semplice e rigorosa, mi rimase impressa. Ripensandoci, ricordai la formula che avevo studiato a scuola, V = I × R, e notai con stupore che le tre lettere componevano “vir”, parola latina che significa “uomo”.

Fu allora che la mia lampadina si accese. Secondo questa  legge, per mantenere costante la tensione elettrica (V), se aumenta l’intensità (I), allora deve aumentare anche la resistenza del conduttore (R). E se l’intensità aumenta all’infinito, inevitabilmente la resistenza finirà per fondere. In questo meccanismo fisico intravidi un parallelo perfetto con la situazione della  nostra umanità.  Viviamo in un mondo dove la tensione è altissima e l’intensità cresce incessantemente; l’unica scelta è aumentare la resistenza, che però, se prolungata oltre il limite, conduce alla fusione, alla rottura.
Da qui è nato il gioco di parole “Ohminide”: noi siamo, in un certo senso, gli uomini di Ohm, gli esseri che vivono la propria “Ohmanità” sotto una tensione in continuo aumento. Il libro avrebbe parlato di quello che sentivo da tempo: lo smarrimento di generazioni che faticano a trovare un metodo espressivo e una reale identificazione. Siamo stati gettati in un calderone di crisi: dalla recessione del 2008 a una sfiducia perenne, dalla perdita di lavoro alle prospettive ridotte al minimo. La pandemia ha ulteriormente sottratto tempo e sicurezza, accentuando la difficoltà di trovare un posto stabile nel mondo e nella professione.
Viviamo un mondo che sembra respingerci, mentre ci travolge un flusso incessante di notizie su guerre, minacce nucleari, un conflitto perpetuo per esistere in un mondo che si sgretola. Questa è la tensione che avverto, vissuta dalla mia generazione.
Da tutto ciò si origina una cultura sommersa, un linguaggio parallelo che si è sviluppato come risposta e rifugio».

L’esordio del romanzo si apre con una frase estremamente potente: “In fondo al mio lavandino c’è Dio”. Puoi raccontarci brevemente la trama? E in quale genere si colloca il romanzo?

«La trama si sviluppa attorno a un thriller: un’indagine di cronaca nera che unisce tre protagonisti: Raffaele “Ray”, operatore ecologico convinto dell’esistenza di un “Dio dei rifiuti” che abita nel suo lavandino e lo ha scelto come profeta; Matteo Wlavich, noto come “il Demonologo”, misterioso content creator assassinato; e Giacomo “Rocky”, suo fan, che cerca di ricostruire il mistero attraverso frammenti disseminati sui social: messaggi, video, post che confondono il confine tra realtà e mito.
Questa struttura frammentaria e multimediale riflette lo stile comunicativo della nostra epoca, cercando un po’ di cogliere il ritmo stesso del web, con i suoi tempi e le sue modalità di fruizione.

La struttura di “Ohm” si distingue per la sua natura frammentaria e multimediale, l’hai definita una “gif” generazionale. Può spiegare in che modo questa scelta stilistica riflette la realtà che intende raccontare?

«Desideravo che la forma del romanzo fosse specchio della sua sostanza, ovvero della modalità con cui viviamo e comunichiamo nell’era digitale. Ho concepito “Ohm” come un circuito che si chiude e si riapre incessantemente, un loop che richiama la natura ripetitiva e fluida di una gif, immagine animata che si ripete all’infinito.
La struttura non segue una divisione tradizionale in capitoli, ma si articola in macro-sezioni, situate idealmente negli anni 2022, 2023, 2024, composte da frammenti di varia natura: post di Facebook, annotazioni, messaggi WhatsApp e Telegram, trascrizioni di file audio, video e post social, tutti elementi che Giacomo utilizza per dare senso al mistero centrale.
Questa modalità narrativa “stroboscopica”,  fatta di brevi istantanee, consultazioni atomiche, intermittenze, rispecchia la cultura quantizzata del web, la fruizione rapida, la molteplicità di fonti e stimoli che caratterizzano la nostra esperienza quotidiana. In questo modo, la forma non è solo un contenitore, ma diventa parte integrante del racconto.»

Ohm” è stato pubblicato attraverso un progetto di crowdfunding editoriale: come si è intrecciata questa esperienza con gli incontri con i lettori?

«Il progetto editoriale ha trovato casa su Bookabook, una piattaforma che sostiene la pubblicazione attraverso il crowdfunding. In pratica, chi sceglie di supportare il libro anticipa l’acquisto, contribuendo a finanziare la sua realizzazione. Come ringraziamento per la fiducia, i sostenitori ricevono immediatamente una bozza integrale in formato digitale, anche se non ancora editata nella sua versione definitiva. Questo permette loro di immergersi nella lettura ancor prima della stampa e di seguire da vicino il percorso del libro.
È un modello di partecipazione attiva che crea un legame diretto e autentico tra autore e lettore. E chiunque desideri far parte di questa esperienza ha ancora la possibilità di sostenere il progetto e accompagnarne la crescita. Questo ha reso le presentazioni particolarmente intense: molti lettori erano già entrati nella storia, pronti a discutere dettagli, simboli e interpretazioni. Temevo che la struttura sperimentale potesse risultare ostica, m che chi ha scelto di immergersi in Ohm ne coglie con sorprendente chiarezza l’intento: raccontare una realtà frammentata e polifonica in cui, nonostante tutto, è possibile riconoscersi.»

C’è un messaggio particolare che desideri che i tuoi lettori conservino dopo aver letto questo libro?

«Ho scritto Ohm perché sentivo l’urgenza di dare voce a una condizione diffusa, ma spesso vissuta in silenzio. Vorrei che il lettore, chiudendo l’ultima pagina, provasse la sensazione di non essere solo: potesse riconoscersi in una esperienza condivisa, comprendere di non sono un peso isolato, ma parte di un vissuto collettivo che attraversa un’intera generazione. È un modo per dare forma e riconoscimento a  ciò che, se affrontato in solitudine, può apparire un problema sconfinato, quasi esistenziale. E invece, guardandosi intorno, scoprire di essere in molti: perché quella sensazione di smarrimento soggettivo, dispersa e amplificata nella cultura dei social e del web, è in realtà molto più comune di quanto si immagini.
Scoprire questa appartenenza può diventare un sollievo e, allo stesso tempo, uno stimolo a guardare con maggiore dignità e consapevolezza a quella cultura — e sottocultura — del web che troppo spesso viene trascurata. Restituirle dignità e riconoscibilità, e inserirla a pieno titolo nel discorso letterario contemporaneo, significa riconoscerla come uno degli snodi essenziali per comprendere le trasformazioni della nostra società.»

Ringraziamo Nathan Wolf per aver condiviso con noi il percorso creativo e il mondo che ha dato vita a Ohm.
Chi desidera approfondire e seguire da vicino le sue attività può trovare i link alla sua pagina:
@Nathanwolf