Collesalvetti Un viaggio attraverso la pittura labronica della meta del XX secolo. E’stato questo il tema fondamentale della presentazione tenutasi presso la Pinacoteca “Carlo Servolini” di Collesalvetti ed avente come protagonista Pierino Fornaciari, pittore molto conosciuto nell’ambito artistico livornese. Nell’ambito della mostra sono state presentate quattro delle sue opere tutte realizzate tra il 1949 ed il 1951: la prima è “A ciascuno il suo mestiere” raffigurante un poliziotto durante un operazione di servizio; poi gli “Ansaldini in sciopero” raffigurante tre operai con le braccia conserte in sciopero; “L’erbaiolo” raffigurante un uomo intento a raccogliere erbe in un campo ed infine “La resa del Tedesco” raffigurante alcuni soldati tedeschi che si arrendono.
A narrare la storia di Pierino Fornaciari alla platea è stato suo figlio Pardo che ne ha tracciato un identikit completo parlando sia della sua pittura e della sua attività di incisore, ma anche della sua vita che sicuramente ha influenzato molto il suo operato dal punto di vista prettamente artistico:
«Pierino Fornaciari nasce a Livorno nel 1918, e comincia a muovere i passi nelle arti figurative da adolescente, iniziando a coltivare questa passione in modo maggiore durante gli anni dell’Università, periodo nel quale comincia a frequentare l’atelier di Salvatore Pissarello. Le prime testimonianze pittoriche che ci sono rimaste di questo artista sono paesaggi del 1945-46 ripresi nel territorio conosciuto da partigiano anni prima. Fornaciari si legò molto presto ai gruppi di pittori che cercavano di superare il sovrastante lascito post macchiaiolo per evolvere alla ricerca di nuovi temi. Il Fornaciari, profondamente connesso con la storia del suo presente sceglie soggetti popolari, tratti dal popolo lavoratore, umili, antiretorici. I quadri presentati alla mostra appartengono al periodo del realismo socialista, interpretato peraltro in modo antiretorico, distante cioè dall’iperrealismo sovietico nella misura in cui i tratti del disegno assumono ritmi schematici, influenzati lontanamente dal cubismo picassiano della Guernica. I volumi diventano ridondanti, quasi sgraziati, a sottolineare la assoluta distanza delle concrete forme popolari dall’ideale astratto dell’equilibrio formale, i colori testimoniano una continua ricerca di accostamenti inusuali, tendenza che riemergerà nell’ultima fase dell’artista, quando negli anni 80-90 e 2000 tenta la via di vari cicli astratti realizzati in acrilico su zinco e plexiglass».
«Esempio lampante della pittura realista del Fornaciari – ha continuato Pardo Fornaciari – è il quadro degli “Ansaldini in sciopero”, un quadro inquietante, minaccioso nel taglio degli occhi dei tre lavoratori a braccia conserte; il simbolismo è evidente, si fonde col realismo dando vita ad un quadro inquietante, dove il colore ha meno ruolo che nel quadro dell’erbaiolo. Lo sguardo plumbeo, la muscolatura, le mani grossolane sembrano mandare un messaggio ai borghesi: “ci siamo e siamo pronti, avrete a che fare con noi”».
«Opera ben diversa è invece “A ciascuno il suo mestiere” che sembra presagire il passaggio agli studi astratti degli anni settanta e che fonde il realismo con il simbolismo. L’opera infatti raffigura un celerino che rimane subissato da cornici e da quadri. La guardia non ha volto, è di spalle e rimane ingabbiata tra le espressioni della cultura e tra tele che non rappresentano volumi. I colori sono meno brillanti di quelli dell’ Erbaiolo, ma più gioiosi di quelli degli Ansaldini non essendo sfumati, ma macchie geometriche. Questa rappresentazione può sembrare realista essendo ispirato ad uno dei numerosi fatti di cronaca legati all’infausto scelbismo, ma a mio giudizio è in realtà un forte simbolismo a farla da padrone in quest’opera ». Al termine dell’esposizione, Pardo Fornaciari si è reso disponibile a rispondere ad alcune domande rivoltegli dalla platea che si è dimostrata molto interessata all’argomento.