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La mostra è presieduta da un Comitato Scientifico costituito da Francesca Cagianelli, Conservatrice della Pinacoteca Comunale “Carlo Servolini”; Maurice Culot, architetto, urbanista e editore belga, presidente del Gruppo Internazionale di Architettura Arcas; Dario Matteoni, storico dell’arte, Ddirettore dell’Accademia di Belle Arti, “Alma Artis”, Pisa; Andrea Muzzi, storico dell’arte, già direttore
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena Arezzo e Grosseto, William Pesson, architetto e storico francese dell’architettura, socio del Gruppo Internazionale di Architettura Arcas; Silvia Vallini, funzionario del Ministero degli Esteri. La soddisfazione degli enti promotori riguarda innanzitutto l’impostazione innovativa della mostra, che a tutti gli effetti si profila come una ‘prima volta’: uno dei più prestigiosi protagonisti del simbolismo belga, Charles Doudelet, rappresentato con 20 capolavori inediti, viene riproposto oggi,
a distanza di due anni dalla prima mostra colligiana a lui dedicata, a confronto con una eletta compagine di giovani Livornesi destinati a entrare d’ora in avanti nell’ambitissima lista del Simbolismo labronico.
Realizzata grazie alla partecipazione di Gio Batta Bertonati, fratello di Emilio Bertonati, gallerista, critico d’arte, pittore e incisore (Levanto, 20 febbraio 1934 – Milano, 4 maggio 1981), di cui si celebra quest’anno il 40° dalla scomparsa, approda in Pinacoteca un nucleo di disegni talmente preziosi da
consentire di ritessere un ulteriore ragionamento storiografico in merito alla straordinaria personalità dell’artista belga, così eccezionalmente strategico rispetto alla fioritura di una stagione internazionale nella Livorno primonovecentesca.
Se la mostra colligiana inaugura un nuovo capitolo della storia dell’arte del nostro territorio, destinato a catalizzare l’attenzione di un pubblico nazionale e internazionale su alcune vicende artistiche del primo Novecento livornese ancora in larga parte oscure, tra le acquisizioni indiscutibili
di questo importante evento espositivo bisogna annoverare anche il rilancio dell’identità simbolista di alcuni artisti finora ascritti nell’alveo di un orientamento genericamente postmacchiaiolo, quali in particolare Gino Romiti, di cui si festeggia quest’anno il 140° dalla nascita, e candidato, proprio in quest’occasione, ad assurgere a decano del Simbolismo livornese. Si celebra quindi con l’attuale mostra, così come nell’ambito dell’ampio e documentato catalogo (Pacini editore), un’opportunità significativa per il decorso della storia dell’arte del Novecento in Toscana, rispetto alla possibilità di tracciare nuovi percorsi di un più aggiornato e complesso panorama artistico, all’interno del quale alcuni protagonisti del sodalizio afferente allo storico Caffè Bardi traggono dal dialogo e dalla familiarità intrapresi con Doudelet, le ragioni profonde di un rinnovamento stilistico in linea con il simbolismo internazionale.
Basti pensare a due campioni tra i più popolari della compagine cittadina, quali Renato Natali e Gastone Razzaguta, partecipi dapprima delle temperie rivoluzionaria del Caffè Bardi e quindi del più confortevole e tradizionale alveo del Gruppo Labronico, presentati nella mostra colligiana come i
massimi interpreti delle tendenze rosacrociane a Livorno.
Scorrono d’altra parte nell’intrigante sezione intitolata al Simbolismo livornese, oltre agli illustri nominativi di Romiti, Natali e Razzaguta, identità assai meno conclamate e, solo apparentemente, minori rispetto al gotha della pittura labronica finora tradizionalmente celebrata, basti pensare a Gabriele Gabrielli e Mario Pieri-Nerli, i due outsider del Caffè Bardi precocemente scomparsi, diversamente intenti alla trascrizione di luttuose allegorie, ma anche quel Raoul Dal Molin Ferenzona, eccentrico e cosmopolita pendolare tra Firenze e Livorno, che già all’alba del Novecento
diventa tramite e garanzia della lievitazione sul nostro territorio di un gusto internazionale, vibrante di mode occultistiche e informato delle dilaganti teorie rosacrociane.
Senza contare la presenza eccezionale di una coltissima xilografa labronica, formatasi non a caso nell’orbita ferenzoniana, quella Irma Pavone Grotta che, grazie anche alla lezione di Luigi Servolinie alla proiezione verso certi capisaldi della grafica internazionale, in primis Félix Bracquemond, traduceva in aggiornate e convincenti prove xilografiche pulsioni misteriosofiche e fermenti esoterici metabolizzati in ambito cittadino.
Ma soprattutto domina, nell’inedito percorso dedicato al Simbolismo livornese, l’amico fraterno di Doudelet, quel Benvenuto Benvenuti – anch’egli celebrato oggi nel 140°dalla nascita – che, residente nel villino antignanese contiguo alla leggendaria villa Medusa abitata dall’artista belga, doveva stringere con quest’ultimo un sodalizio quasi sacerdotale, scandito da occasioni di eccezionale potenziale storiografico: in primis la monografia Ciò che penso dell’arte di Benvenuto Benvenuti, pubblicato a cura delle Arti Grafiche S. Belforte & C. di Livorno 1923, il cui manoscritto, datato Roma, 25 gennaio 1923, fu ristampato in facsimile nel 1946: si tratta della rarità bibliografica Ce que je pense de l’art de Benvenuto Benvenuti (Édition publiée à Lucques dans l’imprimerie A. Lippi, sous la protection de l’Epée de l’Archange S.T Michel, Édition numérotée de 104 exemplaires, 1946), esposta nell’attuale mostra.
Sorta di profilo storico-critico concepito nei termini di una dichiarazione di estetica misteriosofica, questo caposaldo editoriale accompagna emblematicamente la valorizzazione e la storicizzazione del nucleo di progetti architettonici concepiti da Benvenuti tra il 1906 e il 1911, riflessionicosmogoniche sulla Città del Sogno, tessute su eleganti e aggiornate suggestioni Art Nouveau, ma motivare da istanze esoteriche in linea con le tendenze dell’architettura visionaria internazionale.
Parallelamente al percorso espositivo è stata predisposta una sezione documentaria ricca di novità e di suggestioni, oltre che di preziose rarità bibliografiche; basti pensare all’introvabile esemplare della monografia di Charles Doudelet a firma di Ermanno Viezzoli (Trieste, Tipografia Moderna S.A., 1944), conservata presso Fondazione Livorno (Donazione Famiglia Argentieri); così come all’esplosivo Polpettone di Gastone Razzaguta (Archivio Razzaguta), sorta di florilegio inedito di trascrizioni dai testi più famosi delle religioni antiche e moderne, la cui data post quem potrebbe
rinvenirsi nella citazione tratta dalla serie dei fascicoli di “UR” (1927-1928), diretta da Julius Evola; o, ancora, alla raffinata edizione de La Cerchia Paradisiaca. Celebrazione di Lucca, orazione tenuta alla cittadinanza nel salone del Palazzo Guinigi l’11 Decembre 1921, l’anno del VI centenario di Dante di Aleardo Kutufà D’Atene (In Lucca, presso la Coop. Tip. Edit. Lucchese, A.D. MCMXXII), testimonianza pressochè inedita del sodalizio instaurato dall’autore con Raoul Dal Molin Ferenzona. Collateralmente alla mostra la Pinacoteca Comunale “Carlo Servolini“ lancia un Calendario Autunnale dal titolo “Oltre il velo di Iside”, promosso dal Comune di Collesalvetti, ideato e curato da Francesca Cagianelli, dedicato alle problematiche della circuitazione dell’esoterismo tra la Toscana e l’Europa, denso di sorprese e di rivelazioni.
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