Concepita in assoluta coerenza con la programmazione culturale della Pinacoteca Comunale “Carlo Servolini“, sintonizzata con l’istanza di promozione della stagione storica più intimamente congiunta a Carlo e Luigi Servolini, la mostra intitolata a Gastone Breddo (Padova, 1915 – Calenzano, 1991) intende celebrare la proteiforme carriera di uno dei protagonisti del Novecento più influenti nella Toscana degli anni Sessanta, non solo in veste di direttore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze dal 1964 al 1983 e quindi di titolare della Cattedra di Pittura della stessa Accademia a partire dal 1963, ma anche in relazione al ruolo di baricentro, riconosciutogli da Guido Ballo, di riflessioni linguistiche intorno alle problematiche dell’evoluzione del gusto astratto-concreto.
Era infatti il lucchese Pier Carlo Santini a testimoniare nel 1969 quanto già ampiamente sondata risultasse la personalità di Breddo a tale data, setacciata dal gotha della critica d’arte italiana, da Giuseppe Marchiori a Marco Valsecchi, da Franco Russoli a Silvio Branzi, da Giuseppe Mazzariol a Marcello Venturoli, senza contare fuoriclasse quali Lionello Venturi, Roberto Longhi, Roberto Salvini e Carlo Betocchi, a sigillare un ormai prestigiosissimo curriculum espositivo, dalla Biennale di Venezia al “Premio Internazionale del Fiorino” di Firenze, dalla Quadriennale di Roma al Premio Golfo de La Spezia, ma soprattutto l’effervescente vitalità della sua autorevole e integrale partecipazione alla vita artistica italiana del dopoguerra.
Consapevole di testimoniare, proprio in quanto artista, “la temperatura del mondo”, Breddo diviene, stando sempre alle parole di Santini, la più perfetta incarnazione dell’assioma “essere sé stessi nella storia del proprio tempo”. Proprio con riferimento a tale intima vocazione, il destino di Breddo si incrocia con quello di Luigi Servolini, che lo coinvolgerà in qualità di Socio Onorario nell’IDIT (Associazione degli Incisori d’Italia) e ne curerà le voci enciclopediche nell’ambito delle imprese bibliografiche da lui edite (rispettivamente Luigi Servolini, Dizionario illustrato Incisori italiani moderni e contemporanei, Milano 1955 e Luigi Servolini, Gli Incisori d’Italia, Milano 1960), per poi includere un suo dipinto, Vaso di fiori, nel percorso espositivo della Pinacoteca Comunale “Carlo Servolini“ destinato a musealizzare la memoria del padre.
Intorno a tale dipinto si dipana l’itinerario antologico dell’attuale mostra colligiana, impreziosito da quel caposaldo biografico-espressivo che è il celebre Autoritratto con Cristina (1931), icona destinata a scandire la stagione novecentesca partecipata sotto gli auspici di Virgilio Guidi e Giorgio Morandi, un binomio esclusivo, ma sempre meditato da parte di Breddo che, fin dalla frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e quindi di Bologna, ne elaborerà l’eredità della “luce tonale”.
Intimo di Filippo De Pisis, Arturo Martini, Renato Birolli, Osvaldo Licini, Bruno Saetti, Virgilio Guidi, l’artista coltivò incessantemente e pervasivamente una rete di relazioni artistiche e culturali che gli consentirono di traguardare appuntamenti espositivi e rivoluzioni linguistiche mantenendo non solo una centralità strategica, quasi ‘politica’, ma anche e soprattutto una salda coscienza espressiva, partecipando senza interruzioni alle Biennali di Venezia dal 1940 fino al 1958, data quest’ultima della XXIX edizione dove l’artista venne celebrato addirittura con una personale. Sarà proprio in quest’occasione che Lionello Venturi riassumerà egregiamente l’excursus dialettico dell’espressività breddiana, ribadendone la capacità di riflettere sulle possibili congiunzioni tra la propensione astrattista e l’anelito alla realtà esteriore, senza tuttavia rinunciare alla composizione armonica di tali pulsioni conflittuali, anzi pervenendo in occasione della biennale veneziana a traguardi unanimemente apprezzabili.
Assolutamente centrali nella carriera di Breddo, gli anni Cinquanta coincidono con la messa a fuoco del “breve ciclo tematico” coltivato d’ora in avanti dall’artista padovano, quello cioè egregiamente riassunto da Roberto Longhi nel 1956, consistente nei “cartocci propensi di fiori submorandiani” e nella “laguna-soledad” mutuata da Virgilio Guidi (Roberto Longhi, 1956), entrambi motivi prediletti nell’estremo tentativo di conciliare la pregnante eredità dei due padri putativi in una formula pervasa insieme di lirismo e di intellettualità: non è un caso che lo stesso Longhi intraveda proprio in siffatta produzione breddiana quella “desolata luminescenza poetica” fatalmente allusiva alla sua filiazione dalla stagione del tardo ermetismo.
Ed ecco che negli anni Sessanta, a dirimere tale oscillazione pervasiva dell’artista, ormai cristallizzato in veste di uno dei “più vivaci e aggiornati pittori lagunari”, si innesta il cruciale soggiorno di Montepiano, così insistentemente mitizzato dalla storiografia critica coeva e di cui si dispiegano in mostra numerose e decisive testimonianze pittoriche, sorta di rigenerazione edenica verso nuove e più autentiche mete espressive coincidenti, per citare Giuseppe Mazzariol con “una condizione esistenziale che è quasi un correttivo alla sua originaria sensualità”. Non tarda quindi neppure Marcello Venturoli a legittimare lo “Stil nuovo” abbracciato da Breddo d’ora in avanti, riconoscendo all’artista l’intenzione di “scaldare lo schema astratto di nozioni sensibili, ambientali, atmosferiche”, ricorrendo all’emergenza del colore come soluzione dominante dell’istanza espressiva e ponendosi quindi definitivamente nel solco del rinnovamento della cultura pittorica italiana del dopoguerra.
Il Calendario culturale della Pinacoteca Comunale “Carlo Servolini“, dal titolo “Le ragioni della collezione Verzocchi. Il dopoguerra dell’arte tra storia e collezionismo”, ideato e curato da Francesca Cagianelli, in occasione della mostra, lancerà focus, conversazioni e percorsi didattici intitolati ad alcuni degli artisti assurti a protagonisti del prestigioso capitolo della storia dell’arte italiana costituito dalle vicende inerenti la formazione della Collezione Verzocchi, dove è conservata l’opera di Gastone Breddo, Il ciabattino. Tale raccolta, dedicata alla tematica del lavoro e impreziosita da opere tra gli altri, di Carlo Carrà, Felice Casorati, Giorgio De Chirico, Renato Guttuso, Emilio Vedova, è oggi allestita nelle sale di Palazzo Romagnoli di Forlì con il corredo del carteggio e degli autoritratti richiesti dal committente ai singoli artisti. Esemplari, al fine di comprendere le ragioni sottese alla costituzione di tale collezione, risultano a tale proposito le parole adottate da Ennio Morlotti, a commento della sua opera, Le riparatrici di reti: “A questo motivo di donne di Antibes riparatrici di reti non sono stato spinto dalla considerazione del tema proposto ma da emozione e commozione. È la sensazione della libertà, la rivelazione dell’assoluto, il sentimento e la conquista di Dio. Solo ciò mi preme di comunicare e mi fa credere al mio destino di pittore. Se poi mi permetto di consegnarlo a questa raccolta, è perché penso che il lavoro non possa essere né amato, né tollerato che dentro questa proiezione”.
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