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ALLA PINACOTECA COLLIGIANA “GLI ETRUSCHI E L’ARTE ITALIANA DEL PRIMO TRENTENNIO DEL NOVECENTO”

La Pinacoteca “Carlo Sevolini” 

Collesalvetti In onda giovedì 17 ottobre, alle 17:00, alla Pinacoteca Comunale “Carlo Servolini (Via Umberto I°, n. 63) la 2° puntata del Calendario Autunno 2019, ideato e curato da Francesca Cagianelli, dal titolo: “Tra Arte e Archeologia: addenda storiografici e documentari”, finalizzato a promuovere l’inedita e versatile personalità di Ottorino Razzauti, incline perfino alle mode archeologiche.

Quella di giovedì 17 ottobre sarà la volta della conferenza di Stefano Bruni, professore di Etruscologia e Antichità italiche presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università degli Studi di Ferrara, dal titolo Gli Etruschi e l’arte italiana del primo trentennio del Novecento: alle origini di un fenomeno diffuso, volta a sottolineare come la scoperta, nel 1916, dell’Apollo di Veio e delle altre sculture che decoravano il tempio di Portonaccio e la loro pubblicazione, nel 1919, abbiano avuto uno straordinario riverbero nel mondo dell’arte italiana dei decenni compresi tra i due conflitti mondiali.

Se l’attenzione si è particolarmente appuntata nel campo della scultura, dove fin dai primi anni Trenta uno studioso come Francesco Sapori, sulle pagine di Emporium, indicava in Libero Andreotti, Romano Romanelli, Arturo Martini, Marino Marini, Corrado Vigni e Domenico Rambelli la schiera di quegli artisti che più risultavano attratti dalle “suggestioni autoctone dei padri etruschi” – asserisce lo studioso – non sono tuttavia mancati riflessi anche nell’ambiente solo apparentemente meno coinvolto della pittura. È così successo che, nel più generale quadro del riconoscimento di una paternità aurea che affondava le proprie origini nell’esperienza del rinascimento e, più addietro, nell’esempio giottesco, anche il fondatore della moderna maniera toscana, Giovanni Fattori, venisse definito “etrusco” nel 1926 da Mario Tinti.

A Firenze, e più in generale in Toscana, tuttavia la memoria etrusca è fenomeno che pare svincolato dalle scoperte veienti e che si manifesta assai precocemente, fin dai primissimi anni del Novecento, come testimonia una lettera dello stesso Mario Tinti del settembre 1901 al cognato, Ottorino Razzauti.  In questo quadro un caso assai significativo – conclude Bruni – è quello di Oscar Ghiglia, che mostra nell’intero arco della sua vicenda un costante riferimento al mondo antico ed etrusco in particolare.

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