«Pensiamo sempre alla sicurezza in termini materiali, poniamo barriere tra noi e il mondo esterno, proteggiamo le nostre cose con portoni ed inferriate, ma siamo preparati a difenderci dalle minacce che possono raggiungerci tramite la posta elettronica, i social, il web in generale?», si è chiesto Diego Dal Canto. «Dopo aver ascoltato l’ispettore della Polizia Postale Montuori direi che la risposta sembrerebbe essere negativa dato il crescente numero di episodi di truffe online, cyberbullismo e altre forme di attacco estremamente pericolose come la sex extorcion [attacco in cui il criminale chiede un riscatto per non divulgare foto intime condivise dalla vittima dopo essere stata irretita sui social] che solo a Livorno è arrivata a contare più di 300 denunce in un anno». «Voltattorni ha spiegato come per gli adulti il web sia un mondo esterno alla propria realtà, mentre per i più giovani il web è la realtà in cui vivono – spiega Fabio Bernardini – e lo spazio digitale non è separato dalla realtà ma sovrapposto ed integrante. Per questo, quando i ragazzi raggiungono l’età in cui si afferma o si deve affermare la loro identità, cercano di rinforzare la propria immagine curando il proprio profilo social, il cui successo è misurabile in termini di like e di follower. I bambini di oggi crescono generalmente in famiglie affettive, con legami genitoriali molto stretti, quindi quando arriva il momento dell’emancipazione cercano conferme all’esterno degli incoraggiamenti ricevuti in casa».
«Uno degli aspetti più inquietanti per noi genitori, tra quanto esposto dallo psicologo – commenta Selena Stagi – è che i bambini non considerano il cyberbullismo un reato ma solo uno ‘scherzo’, soprattutto i più piccoli. Se è vero che anche in passato venivano fatte certe ‘bravate’, la tecnologia di oggi se non usata correttamente ne può amplificare le conseguenze, anche con esiti drammatici. É necessario che i bambini capiscano che una foto pubblicata sui social o in chat private è come se venisse pubblicata in piazza in piena vista di tutti. «Dobbiamo prendere seriamente la questione dell’educazione a questi nuovi mezzi con progetti nelle scuole come quelli sulla ‘Cittadinanza digitale’ come suggerito dallo psicologo Voltattorni alla fine della sua presentazione», riprende Bernardini.
«I bambini imparano dai nostri comportamenti più che dalle nostre parole: se usiamo il telefono a tavola, se a parole condanniamo, ma abbiamo atteggiamenti che avallano in qualche modo la violenza e l’aggressività ecco che certi comportamenti vengono rafforzati», sottolinea Elisa Pucciarelli. «Come ha ripetuto lo psicologo più volte nella sua esposizione la vittima e il bullo sono destinati ad incontrarsi, emergono da condizioni simili, mancanza di considerazione, frustrazione… il bullo reagisce in modo aggressivo mentre la vittima si chiude nel silenzio, per questo dobbiamo essere sempre vigili e leggere le situazioni: una vittima può sembrare un bambino pacato e tranquillo a differenza del bullo che emerge subito con i suoi comportamenti, ma la vittima può diventare a suo volta carnefice online sfogando la propria frustrazione online liberato dallo schermo, che non fa passare la parte di comunicazione non verbale, dei freni che un contatto di persona normalmente metterebbe a certi comportamenti aggressivi», conclude Alessandra Bonelli. «Dovremmo porre molta attenzione a quanto suggerito per quanto riguarda la rieducazione: ci sono infatti progetti per il recupero dei bulli con metodi non punitivi (essendo quelli basati sulle punizioni assolutamente controproducenti), ma di reintegro sociale che comportano l’affiancamento e l’aiuto ad altri compagni di classe in difficoltà, questa è la strada da seguire».
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