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REFERENDUM COSTITUZIONALE, IL PERCHÉ DEL NO NELL’INTERVISTA A LUCA CHIAPPE: «ECCO LE MIE 5 BUONE RAGIONI»

Luca Chiappe, presidente del Comitato per il NO Collesalvetti

Stagno La campagna referendaria è alle battute finali. Domenica 4 dicembre si vota per confermare o disapprovare le riforme costituzionali del Governo Renzi. In quest’ultimo giorno di campagna Collenews ha intervistato i presidenti dei due Comitati referendari, quello per il SÌ e quello per il NO. Iniziamo con la pubblicazione dell’intervista di quest’ultimo. Ecco come Luca Chiappe spiega ai lettori di questa testata le ragioni del NO.

 

Chiappe, domenica si vota per il referendum costituzionale. Lei è presidente del comitato colligiano per il NO. Sinteticamente, per i lettori di Collenews, quali sono per lei 5 buone ragioni per votare NO a questa riforma?

«Sarebbe fin troppo facile riassumere tutte le perplessità e/o incoerenze con una frase del tipo “perché basata su un cumulo di bugie, o comunque di distorsioni della verità” ma proverò comunque a citare 5 motivi».

 

 1° MOTIVO «A differenza di quanto raccontato, il Senato non viene abolito e i risparmi sono iniqui, la stessa Ragioneria di Stato ha confermato che gli stessi saranno di circa il 9% rispetto ad ora. Un nulla se si pensa a quanto spendiamo ogni giorno per spese militari, o quanto ci costa il nuovo aereo di Renzi e i suoi viaggi. Inoltre (alla faccia del cambiamento) a sedere in Senato saranno sindaci e consiglieri regionali, eletti come? Da chi? Con quale indennizzo? Quanto tempo ruberanno al lavoro per il quale sono stati eletti? Questo non è dato saperlo perché i regolamenti attuativi sono tutti ancora da discutere e approvare e se questo di fatto renderà immobile la nuova istituzione fino a quando non sarà normata, nella immediatezza offre a taluni soggetti che potessero macchiarsi di reati come appalti truccati, mafia, clientelismo ecc un valido aiuto attraverso l’immunità».  

 

2° MOTIVO «La modifica del titolo 5°. Ma che cos’è il Titolo 5°? Si tratta di quella parte della Costituzione italiana in cui vengono decisi i ruoli e le competenze delle autonomie locali: Comuni, Province e Regioni. Dagli anni Settanta al 2001 il Titolo V è stato soggetto a numerosi cambiamenti, quasi sempre in un’ottica federalista, che quindi spostava i poteri, decentrandoli dallo Stato alle regioni, che di queste modifiche sono state le vere protagoniste. Che cosa cambia con la riforma ? La scomparsa delle Province dalla Costituzione e della legislazione concorrente tra Stato e Regioni sono la parte fondamentale di una riforma che riporta la maggior parte delle competenze in seno alla Stato centrale. Lo Stato, inoltre potrà esercitare una “clausola di supremazia” verso le Regioni a tutela dell’unità della Repubblica e dell’interesse nazionale. Con la modifica del Titolo V della Costituzione viene rovesciato il sistema per distinguere le competenze dello Stato da quelle delle Regioni. Sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, rapporti con la chiesa, difesa, moneta, burocrazia, ordine pubblico, ecc.). in poche parole non importa chi voti il cittadino a casa sua, perché la Regione se in disaccordo verrà superata dallo Stato che deciderà al posto suo. Un esempio: vogliono fare le trivelle i cittadini di una regione non sono d’accordo, il Consiglio Regionale neanche, poco importa: lo Stato interviene e decide imponendo la propria volontà».

 

3° MOTIVO «Dicono che serve per la governabilità: governabile è colui che docilmente si lascia governare, a chi piace essere governato? Io penso che serva un governo serio capace, con un programma serio e di facile apprendimento affinché i cittadini attraverso il voto possano dar loro il mandato. Ma dicevamo all’inizio delle bugie, di quale immobilizzo parlamentare si sta parlando? Nella attuale legislatura si sta facendo una legge in media ogni 5 giorni, questo significa che quando si vuole si può; il problema non è la Costituzione ma la scarsità intellettiva dei nostri deputati; la riforma non semplifica il processo di produzione delle leggi, ma lo complica: le norme che regolano il nuovo Senato, infatti, produrrebbero almeno 7 procedimenti legislativi differenti».

 
4° MOTIVO «Si racconta che la “riforma garantisce più poteri alle opposizioni… senza toccare i poteri del Presidente del Consiglio, né alcuno dei ‘pesi e contrappesi’ che garantiscono l’equilibrio tra i poteri dello Stato”. Menzogna: il Governo conterà molto di più, e non solo per la legge elettorale Italicum che regala il 54% della Camera, e dunque il Governo, al capo del partito più votato (anche nel caso in cui rappresenti solo il 20 per cento dei votanti, pari al 12-13 per cento degli elettori). Ma anche perché il Governo avrà una corsia preferenziale in Parlamento, per i suoi disegni di legge, che andranno approvati entro 70 giorni (art. 72 della “riforma”): la stessa priorità non è prevista per le leggi di iniziativa parlamentare, così il Governo monopolizzerà l’attività legislativa del Parlamento, dettandogli la propria agenda. Nulla è previsto per le opposizioni, se non la promessa di una legge che dovrebbe disciplinarne i diritti: una legge mai scritta, affidata al buon cuore della futura maggioranza».

 

5° MOTIVO «Ci dicono che ci sarà maggiore partecipazione da parte dei cittadini. “I referendum abrogativi avranno un quorum più basso”. Bugia! Il quorum si abbassa solo se si raggiungono 800.000 sottoscrizioni anziché 500.000 (art. 75 comma 4). “Le leggi di iniziativa popolare dovranno essere discusse dal Parlamento in tempi certi”. Bugia! Saranno apposite norme da inserire nei regolamenti parlamentari a stabilire tempi, forme e limiti (art. 71 comma 3). Ma è già così! Chi lo ha impedito finora se non proprio quella maggioranza che oggi dice “faremo”? L’unica vera modifica che ha immediata entrata in vigore è l’incremento del numero di firme necessarie per presentare leggi di iniziativa popolare: con la Costituzione in vigore bastano 50.000 sottoscrizioni, adesso diventano 150.000».

 

Questi, a suo giudizio, i difetti. Se, obiettivamente, dovesse rilevarne i pregi, invece, quali elencherebbe?

«Qui la risposta è più semplice: non trovo niente di positivo nella riforma, né nel contenuto né come è stata fatta. Una Costituzione rappresenta la struttura ossea di un popolo, ne stabilisce le regole, e le regole mantengono la democrazia fornendo a tutti stessi diritti e doveri. Una Costituzione che divide il Paese senza nemmeno guardare al suo contenuto rappresenta già di per se qualcosa di sbagliato. Ma qualcosa di buono ho invece trovato intorno a questa riforma: andando in giro a spiegare il perché del NO ho avuto il piacere di ritrovare gente a cui è tornata la voglia di partecipare, di capire e questo è positivo non si deve credere solo ai leder di turno».

 

Come giudica la campagna e, più in generale, il clima che si è respirato nel territorio colligiano per questo referendum?

«Senza fare di tutta l’erba un fascio, il clima referendario non è poi diverso da quello politico di tutti i giorni, e in particolare degli ultimi anni. Purtroppo abbiamo a che fare con una nuova classe politica che diserta il confronto, (prova ne è il non essere riusciti a fare un incontro pubblico e pacato), che giudica colui che pensa diversamente come un nemico e non più come avversario politico, una classe politica piena di se saccente ed irriverente».

 

Alle tante famiglie in difficoltà, a chi non arriva alla fine del mese, ai giovani incerti per il loro futuro, agli anziani con una pensione da fame cosa porta in maniera diretta o indiretta questa riforma? Cosa giova loro votare NO?

«Alle persone in difficoltà, alle famiglie, a chi ha perso il lavoro, ai pensionati e a chi non sa se andrà in pensione non dico cosa porterà loro il NO, perché non ragiono come quelli del “ basta un si”; noi non votiamo NO perché porterà loro qualcosa, noi votiamo NO perché queste situazioni (la perdita del lavoro, gli esodati, i disoccupati, i truffati dalle banche e la crisi totale che viviamo) derivano proprio da chi fa questa riforma e dai loro amici faccendieri, banchieri e affaristi. Noi pensiamo che se Marchionne vota SÌ, se JP Morgan indica il SÌ, non lo fanno per difendere i diritti dei cittadini ma per toglierli, allora votare NO serve a fermarli perché se prima non fermiamo questa mercificazione dei diritti non potremmo ottenere niente».

 

Cosa prevede voteranno in maggioranza gli italiani, a prescindere da quello che lei vorrebbe votassero?

«Non amo i sondaggi e non faccio scommesse su una questione che reputo di vitale importanza, non prevedo ma spero che il messaggio sia arrivato e che gli italiani mostrino una impennata di orgoglio».

 

Che scenario politico-istituzionale ed economico-sociale si aprirà a livello nazionale (ma anche che ripercussioni politiche ci saranno a livello locale) se vincerà il SÍ? E se avrà la meglio il NO?

«Sicuramente le banche non falliranno a causa di un referendum come si sta minacciando in questi giorni, se ciò dovesse accadere sarebbe solo grazie alle loro politiche economiche sbagliate, ai troppi favori agli amici degli amici e speculazioni. Una banca e i banchieri fanno parte di un sistema economico e democratico della vita di una nazione, ma non devono permettersi di minacciare scenari apocalittici per propri fini andando ad interferire sul pensiero dei cittadini che invece deve essere libero da ogni condizionamento. Cosa succeda al Governo nazionale non so dirlo, questi ultimi anni ci hanno abituato a troppe sorprese per fare previsioni. È stato Renzi a personalizzare il referendum, mostrando un atteggiamento di sfida certamente irresponsabile per un Presidente del Consiglio, ma non credo si dimetterà; penso più probabile una farsa dove si dimette e va da Mattarella per ricevere nuovo mandato a un governo tecnico o pseudo tale. Naturalmente poi molto dipenderà da come si vince. A livello locale invece per coloro che si sono spesi per un fronte o per l’altro non cambierà molto (salvo i problemi reali che prima sono stati esposti se passa la riforma), per i soggetti politici , e specie per chi ha incarichi di governo invece la cosa potrebbe essere diversa, troppo tempo si è dedicato alla campagna omettendo il proprio dovere, quindi non si possono escludere rese dei conti, ma questa e una domanda che andrebbe fatta ai segretari dei partiti».

 

diego.vanni@collenews.it

 

 

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