Stagno L’assenza da tempo di assunzioni di zona; la desuetudine di un’usanza nei confronti di chi sta andando in pensione; l’assenza degli investimenti promessi. Sono questi per Giovanni Biasci, lavoratore in Raffineria ma anche Segretario del PD di Stagno, gli elementi che lascerebbero intendere la volontà di dismissione dello stabilimento da parte di ENI. Cosa accadrebbe a Stagno e, più in generale, al tessuto economico livornese senza la Raffineria? E nel caso di un’eventuale riqualificazione dell’area come deposito? Cosa chiede Biasci al Governo in primis e all’Amministrazione Comunale colligiana? Cosa comporta il fatto che lo Stato sia il principale azionista di ENI? La nostra intervista.
Biasci, lei è il Segretario del PD di Stagno, la frazione sul cui territorio c’è la Raffineria Eni, ma anche lavoratore all’interno dello stesso stabilimento. Che percezione ha della situazione, da lavoratore, e cosa chiede, da Segretario territoriale del PD al suo partito che esprime la maggioranza di governo sia a livello nazionale che locale, nel Comune di Collesalvetti?
«Come lavoratore, posso dire che stiamo rivivendo la vicenda di 5 anni fa. Si ha la percezione di una volontà di dismissione da parte dell’ENI, relativamente al sito di Stagno. Una percezione che si ha da tempo. Stiamo infatti usufruendo, non da ieri, del lavoro di personale non livornese e se questo da un lato è fisiologico, dall’altro il fatto che non si assuma da tempo personale livornese dà l’impressione di una certa precarietà che prepari alla dismissione. Peraltro, ci sono molte persone che attendono di andare in pensione. Era abitudine, in ENI, che a coloro che stavano per andare in pensione fosse data la possibilità di rimanere un altro po’ sugli impianti, in modo da ricevere qualche mensilità in più. Cinquanta persone non stanno più beneficiando di questo trattamento e questo è un altro elemento che non lascia presagire bene. E poi, gli investimenti. Due anni fa era stato promesso un investimento sostanzioso, che però non si è mai concretizzato. Una Raffineria che non investe sui propri impianti diventa obsoleta e, a poco a poco, perde competitività con la concorrenza. La nostra, peraltro, è sempre stata una Raffineria molto valida dal punto di vista del personale, molto inferiore rispetto a quello di Raffinerie del Sud. All’Amministrazione chiedo di fare né più né meno di quanto fu fatto 5 anni fa. Allora la gente si fece sentire, così come il PD, il Comune di Collesalvetti e la Regione. Questa unità d’intenti dette i suoi frutti; la partita si trasferì a Roma. Deve essere il Governo a risolvere questa questione, ma il fatto che i giornali nazionali non ne abbiano ancora parlato…».
«Basti pensare che essa rappresenta circa il 20% del PIL di Livorno. Per non parlare delle circa 1000 famiglie che vivono grazie ad essa».
«Il suo pensiero circa un’eventuale riconversione dell’area in deposito?
«Diventar deposito significherebbe perdere non so quanti posti di lavoro. Con 50 o 60 persone un deposito va avanti, basti pensare solo questo. E poi, noi abbiamo un know how che… perderlo così…».
Qual’è la previsione più realistica che si sente di fare?
«Confido nel fatto che il nostro Governo non vorrà far attuare ad ENI un piano di dismissione come questo. Essendo lo Stato il principale azionista di Eni, non credo voglia permettere che si perdano tutti questi posti di lavoro. I tempi del fondatore, Mattei, non ci sono più, è vero, ma pensiamo alle sue intenzioni: lui voleva creare posti di lavoro in Italia. L’azionariato dello Stato non ha senso se poi ci sono posti di lavoro solo all’estero».