A due anni dalla scomparsa di Mattia, qual’è il suo stato d’animo?
«Sono a terra; sono una persona distrutta. Vivo perché devo vivere; perché ho una bimba di 14 anni. Se non avessi lei, la mia mamma, i miei affetti… Può sembrare che io stia bene perché ho gli amici; vado al mare; guardo l’Italia, ma una parte di me è scomparsa con lui. Queste cose non possono passare; una mamma che vede morire il proprio figlio… è una cosa contro natura. Una malattia è già una cosa diversa. Uno si prepara psicologicamente, pian piano, ma vederlo partire col sorriso e non tornare più…».
Quali i suoi sentimenti nei riguardi di chi l’ha investito?
«Io ce l’ho con la legge. Dopo una certa età alle persone andrebbe tolta la patente. Prendono i farmaci per il colesterolo, per il diabete, altri farmaci e poi… si mettono alla guida».
A così tanto tempo di distanza, gli amici continuano a scrivere sulla sua bacheca Facebook messaggi affettuosi. Mattia, dunque, continua a vivere nella memoria delle persone. Che effetto le fa questo?
«Fa piacere. In un certo qual modo, questo contribuisce a tenerlo in vita. Talvolta vedo anche di persona i suoi amici. E’ una gioia vederli, ma c’è purtroppo anche il dolore perché Mattia non c’è più».
Com’era Mattia in casa, nella vita di tutti i giorni?
«Un pigrone. Per fargli fare le cose… Alla fine le faceva, ma… ce ne voleva! Se, per esempio, gli chiedevo di tagliare l’erba o di passare l’aspirapolvere, all’inizio diceva di no, ma poi lo faceva».
Un episodio che le è rimasto particolarmente impresso nella memoria?
«Il giorno prima di morire, quando è tornato dalla prova d’esame e mi ha detto: “Mamma, sono strabravo! Ho fatto la prova di meccanica e ho preso 15”. Era uno che riusciva, uno molto sicuro di sé. Ha fatto 3 guide e ha preso la patente per la macchina, idem per quella dello scooter. Sì, era molto sicuro di sé e questo è veramente importante».
Che ne avete fatto della sua cameretta?
«E’ intatta. Come se fosse ancora vivo. Sopra il letto, un pallone con tutte le firme dei ragazzi della squadra; nel cassetto, la biancheria pulita e ordinata; sullo scaffale i 16 euro che aveva in tasca al momento dell’incidente ed il suo portafoglio, con la carta d’identità, la patente e la foto di un ragazzo, un suo amico, che era deceduto in un incidente stradale. E poi, gli abiti ancora appesi ad un appendiabiti da porta; il quadro di Batman; i libri di scuola; le foto; la maglietta della sua Juve; quella delle calcettate; il poster dei compagni di classe…».