Vicarello – Venerdì 28 marzo, presso la Sala delle Colonne, si è svolto l’evento sulla violenza contro le donne, organizzato dal Consiglio di Frazione. Il maresciallo dei Carabinieri Stefania De Chirico e la professoressa Nicla Capua hanno parlato delle istituzioni e delle realtà associative che assistono chi ha subito un abuso e della prevenzione che può avvenire attraverso una corretta educazione in famiglia e nell’ambito scolastico davanti a circa quaranta persone. Dopo l’intervento di apertura del presidente del Consiglio di Frazione Angela Maria Burgalassi (leggi qui), il maresciallo Stefania De Chirico ha parlato della sua esperienza diretta nel territorio: «Sono a Livorno da circa tre anni. Come Maresciallo, unitamente al Comando del Nucleo Operativo di Livorno, siamo referenti del “Centro Donna”. Questo luogo lo definirei neutro perché la donna vi si può rivolgere per qualsiasi tipo di problema: non solo per una violenza subita, ma anche in caso di separazione dal marito, specie quando essa si rivela molto conflittuale. Al “Centro Donna” lavorano psicologhe e avvocatesse. Le donne che si rivolgono a questo sportello hanno quindi una consulenza sia psicologica sia legale. In questo modo, riescono a prendere coscienza di quello che sta accadendo a loro perché molto spesso si tengono tutto per loro».
E ancora: «In più, sempre per quanto riguarda il “Centro Donna”, bisogna aggiungere che il 25 novembre 2011 è stato firmato un protocollo d’intesa che prevede la cooperazione tra i Carabinieri, la Questura, l’Asl e gli assistenti sociali del Comune di Livorno. Questo accordo prevede di riunirsi periodicamente per discutere i casi in essere o per intervenire immediatamente quando si verificano casi urgenti di violenza tra le mura domestiche e se c’è da trovare una sistemazione alternativa. Questa collaborazione serve per prospettare alla donna che si rivolge a noi un futuro migliore e, infatti, siamo riusciti a risolvere situazioni davvero drammatiche».
Sono nati altri mezzi per combattere questo dramma sociale: «Sempre a Livorno, prendendo spunto dal modello di Grosseto, è nato il “Codice Rosa”, un protocollo che vede la collaborazione di Carabinieri, Polizia di Stato e Asl. Esso è uno storico degli accessi che una donna ha fatto al Pronto Soccorso in cui il soggetto presenta chiari segni di violenza sul corpo per più volte consecutive, anche se la vittima tende quasi sempre a giustificarli come incidenti domestici. Quando i referti di violenza subita da una donna – prosegue – sono ripetuti nel tempo vengono interpellati i servizi sociali dell’Asl e le Forze dell’Ordine. Se dall’interrogatorio a cui viene sottoposta la donna emerge una situazione di violenza subita ripetuta o addirittura esiste un pericolo di vita, viene collocata in un apposito centro di assistenza. In caso di violenza sessuale, inoltre, vengono repertati gli indumenti indossati e la vittima viene sottoposta ad una visita ginecologica».
La violenza non è solo fisica: «Esiste anche quella psicologica, forse la più difficile da dimostrare perché si tratta di una serie di vessazioni e denigrazioni continue fatte dal partner alla donna, in cui viene messo in dubbio il suo ruolo di madre o di moglie. La vittima si convince di questo e arriva a dare ragione al compagno. È difficile uscire da questa situazione, ma è comunque possibile. Le donne – aggiunge – devono avere la consapevolezza che quelle non sono situazioni normali, che non sono sole e che devono trovare il modo di denunciare il fatto. La violenza psicologica è spesso correlata alla violenza domestica: in questo senso, diventa fondamentale l’intervento dei vicini, i quali possono chiamare le Forze dell’Ordine».
«All’interno delle mura domestiche – continua – può essere presente anche la violenza assistita ai danni di un minore. Essa si verifica quando un bambino, pur essendo in un’altra stanza, sente le urla o assiste ad un atto di violenza tra i propri genitori. In questo caso, l’assistenza psicologica al minore è importante perché, purtroppo, l’80% di coloro che hanno assistito ad un maltrattamento in età infantile è probabile che diventino a loro volta dei maltrattanti in età adulta».
La professoressa Nicla Capua ha invece posto l’accento sul fatto che «la violenza è sinonimo di mancanza di rispetto. È per questo che ritengo fondamentale un binomio educativo tra scuola e famiglia. La scuola – afferma – è importante nell’educazione dei giovani che saranno gli uomini futuri. Che cosa devono fare le famiglie e la scuola affinché i giovani imparino il rispetto per gli altri? Oggi sappiamo che i genitori sono sempre più impegnati nel lavoro e quindi sono sempre più assenti in casa. L’effetto è che i giovani vengono lasciati soli a casa e sono sempre a contatto con il computer e il cellulare. Credo che vada recuperato il rapporto scuola-famiglia-giovani, non voglio demonizzare in senso assoluto la tecnologia. Spesso – sottolinea – in famiglia vengono insegnate delle cose ma sono i genitori stessi a non rispettarle. Quindi, ci deve essere un’educazione che insegna a non fare all’altro quello che non vorresti vedere fatto a te stesso».
Secondo la professoressa Capua, l’educazione familiare e scolastica deve andare di pari passo con la cultura. «Essa è importante per prevenire situazioni di violenza perché ci consente di apprendere dall’esperienza degli antichi che ci insegnano che laddove non si seguiva l’educazione dei figli, potevano verificarsi casi di violenza. Il femminicidio è una delle violenze peggiori che si possano immaginare. Io credo che la bellezza e l’arte siano da insegnare ai giovani perché la bellezza e l’arte rendono gli uomini liberi».
In rappresentanza dell’Amministrazione Comunale, è intervenuto il vice sindaco Alberto Benedetti, il quale ha precisato come «la storia del nostro Paese, da sessant’anni a questa parte, ci insegna che siamo riusciti a mettere nero su bianco molti diritti fondamentali. Si pensi al diritto di voto per le donne, al diritto all’aborto e al divorzio. In questo Paese siamo riusciti a combattere il fenomeno del maschilismo. Oggi, purtroppo, però credo che questo fenomeno si sia tradotto in machismo. È aberrante – prosegue – che siamo dovuti arrivare ad istituire un reato come il femminicidio. I numeri che riguardano che questo fenomeno sono spaventosi in Italia e non solo. È una piaga sociale che si può purtroppo paragonare a quella delle morti sul posto di lavoro».