Scintilla fa un mestiere pericoloso e al tempo stesso importante per la ricostruzione della città e per la sopravvivenza della sua famiglia. Lo ha imparato sul campo e il suo soprannome deriva dalla velocità e dalla bravura con cui si muove sott’acqua. Ma questa abilità si scontra con la concretezza della vita sulla terra ferma. Una concretezza incarnata da sua moglie Rosa, che combatte l’angoscia di non poter rivedere suo marito tornare a casa con il disincanto e l’ironia livornese. Il punto di forza di questo spettacolo, tuttavia, è quello di non scadere nel cliché del livornese volgare a tutti i costi, ma di rievocare in maniera fedele gli atteggiamenti e i modi di fare di una Livorno che oggi non c’è più.
Andrea Gambuzza, attore e autore di “Testa di rame”, spiega come è nato l’interesse verso questa tema: «È nata in modo fortuito. Infatti, durante le prove di un altro spettacolo, abbiamo avuto un guasto tecnico in teatro ed è venuto a trovarci il padre di un nostro amico per aiutarci a fare questa riparazione. In quella occasione lui ha incominciato a parlare del mestiere che faceva suo padre e che poi ha fatto anche lui. A me si è aperto un mondo. Pensavo che i palombari esistessero solo nei libri di Jules Verne e invece no. Facevano quello che oggi fanno i sommozzatori, solo che avevano a disposizione una tecnologia molto rudimentale».
E ancora: «Per dare profondità al tema raccontato, ci è parsa una buona possibilità utilizzare questi due personaggi, facendoli diventare un’allegoria dell’essere uomo e dell’essere donna. Scintilla è ben chiuso nel suo mondo sottomarino dove tutto gli riesce bene, ma nella vita sulla terra ferma le dinamiche cambiano».
L’altra protagonista, Ilaria Di Luca, ci racconta che «ci siamo ispirati a personaggi veri. Nel mio caso, ho voluto fare un omaggio a mia nonna. Ho provato a raccontare un modo di vivere e di provare sentimenti che al giorno d’oggi non ci appartengono più. A quell’epoca – continua – non c’era molto spazio per la dolcezza, ma al tempo stesso bisognava sdrammatizzare una situazione non facile. La coppia protagonista era sempre a contatto con la morte perché il mestiere del palombaro era molto rischioso. Da questo punto di vista, abbiamo dovuto recuperare un modo diverso di parlare e di intendere la livornesità: c’era la fatica del vivere, ma anche il bisogno di reinventarsi, di darsi forza», conclude l’attrice.
La regia è di Omar Elerian, mentre la scenografia di Stefano Pilato, le musiche e i suoni di Giorgio De Santis, le luci e la parte fonica di “Abi” Batocchi, i costumi di Adelia Apostolico e le maschere di Emidio Bosco