Collesalvetti Salite disconnesse, come i cinema distrutti. Lavori in corso ancora e il Comune pensa a tutti. Resta solo il bar fra le macerie del paese. A dare l’impressione che qualcosa ancora vive: come una maschera permane su di un volto sfigurato“. Inizia così la nuova canzone (ascoltala cliccando qui) di Enrico Cecconi, colligiano doc, che si intitola “Vecchio amico”. Il ragazzo, 22 anni ancora da compiere, racconta così Collesalvetti, il “vecchio amico” appunto. Enrico studia discipline dello spettacolo e della comunicazione all’Università e questo è connesso al tono malinconico della canzone, come ci spiega lui stesso: «avendo scelto una facoltà che non dà molti sbocchi lavorativi, mi sento un po’ in balia del mondo. Se avessi scelto Medicina o Ingegneria, avrei avuto meno insicurezze e non avrei forse nemmeno scritto questa canzone». Collenews lo ha intervistato:

Enrico, come ti è nata l’idea di una canzone così?

«Questa è una delle prime che ho scritto, avevo appena risentito “Piccola città” di Guccini, ed era venuta voglia anche a me di parlare della mia provincia. Era il periodo della festa al Palazzetto, forse il momento in cui noi ragazzi viviamo maggiormente il paese. Poi c’era una ragazza che mi piaceva; l’estate… insomma un turbinio di cose che mi ha portato a prendere penna e foglio. Ho ripreso l’idea di un giro armonico semplice, come la melodia, quasi parlata, così da buttare giù tutto quello che avevo in testa, perché penso che il paese sia un po’ così: impulsivo».

Quale messaggio vorresti passasse con questa canzone?

«L’idea era di sfogarmi, poi è chiaro che vengono fuori anche contenuti. Un obiettivo potrebbe essere fare un affresco di colle, come una fotografia, da guardare, per capire un po’ la provincia: forse non c’è tutta Colle dentro, ma solo una mia proiezione, anche molto fantasiosa, ma credo che la canzone rappresenti contemporaneamente la voglia di andare via (il mito americano novecentesco), mista, per quanto mi riguarda, alla malinconica dolcezza di restare, il ritornello ne è un po’ un emblema. Infine ovviamente mi piacerebbe che un ragazzo colligiano mi potesse dire: ”Cazzo, è proprio Colle”».

La voglia di andare via di cui parli è dovuta al deprimente contesto economico e alle conseguenti mancanti opportunità lavorative?

«No, no… è un mio approccio malinconico al paese, che è nel mio carattere. Forse però, avendo scelto una facoltà che non dà molti sbocchi lavorativi, mi sento un po’ in balia del mondo. Ad esempio se avessi scelto Medicina o Ingegneria avrei avuto meno insicurezze e non avrei forse nemmeno scritto questa canzone. L’avrei scritta magari dopo, se fossi riuscito a trovare lavoro, ma almeno durante gli studi mi sarei sentito sicuro, anche da un punto di vista economico futuro».

Come ti sei avvicinato alla musica?

«Il mio babbo ha sempre suonato il liscio, ha iniziato da giovane e continua ancora. Io ho iniziato una decina di anni fa, ma solo negli ultimi 3/4 anni mi sono impegnato un po’ nello studio e sono sempre veramente indietro».

Quante canzoni hai scritto finora?

«In tutto una ventina, ma dieci non mi piacciono più. Ne ho tenute cinque, che ti definisco banalmente più tristi e cinque, che non ho ancora pubblicato, più allegre, pop».

 

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