L’editoriale Il caso della famiglia sfrattata e costretta a vivere in auto nei giorni scorsi aveva creato dibattito. Se la consigliera Cinque Stelle Loredana Pantaleone si era chiesta dove fossero lo Stato, il Comune e la Chiesa, la riflessione sulle situazioni di fragilità sociale che sempre di più emergono, con le tenaglie della crisi economica che non mollano la presa, impone un ripensamento a 360 gradi.

Il lavoro che non c’è e i bassi di redditi di chi lo ha Da non economista, credo che visti i dati sulla disoccupazione, ma anche su tanti redditi di chi ha “la fortuna di lavorare”, si possa affermare senza esitazione che questo sistema economico ha fallito. Non sono fra coloro che pensano che se “la realtà non si concilia con l’ideologia, tanto peggio per la realtà e tutto il suo sistema”. La realtà è la realtà e da quella non si può prescindere. Intere generazioni di giovani che riescono ad andare avanti solamente grazie al sostegno dei genitori; gente in età adulta che vive grazie alle pensioni degli ormai anziani genitori; ragazzi che non lavorano; quelli che lavorano spesso hanno redditi per cui non riescono a mettere da parte che pochi euro, per cui stante il trend si potranno comprar casa (visti i costi degli immobili, al netto degli abbassamenti dovuti alla crisi del mercato edilizio, pur sempre molto alti) in decenni e decenni (altro che fuori di casa a 30 anni!).

Il corto circuito dell’economia Chiaramente, se si stenta ad arrivare alla fine del mese, non si esce di casa o lo si fa pochissimo; non si va al ristorante, al pub… E quindi le attività commerciali o muoiono o si tengono in vita a malapena; sicuramente non assumono i nostri figli. Figli?! E chi li fa in questo contesto! Con quali prospettive! Un mercato del lavoro sempre più precario; un sistema creditizio sempre più inaccessibile stante la precarietà occupazionale. E i contributi pensionistici?! Poco lavoro, pochi contributi versati. E le casse degli istituti pensionistici sempre più vuote. E la dimensione psicologica (che però è connessa all’aspetto economico)?! Chi investe soldi nel terrore (ormai consolidato) della depressione economica! Depressione economica che può essere causa di depressione psichiatrica. La cui cura è un costo per il sistema sanitario nazionale. Un altro costo che paga il cittadino con le proprie tasse. Un corto circuito totale!

Sì, abbiamo fallito! Innegabilmente è così. E occorre ripartire, ma alla svelta! Non c’è più tempo da perdere, se n’è già sprecato assai e i danni sono incalcolabili! Le leggi della natura non si possono modificare, ma il sistema economico non è (o non totalmente) una legge naturale; è l’uomo l’artefice del proprio destino. Che sistema economico vogliamo?! Il lavoro, il reddito, il futuro! Questo deve ritornare prepotentemente al centro del dibattito politico. Ma prima che senatori, deputati e ministri, si inizi da Collesalvetti: un tavolo del lavoro, un laboratorio di idee su come rilanciare l’economia locale, il tessuto economico del territorio. E a macchia d’olio tutto questo si estenda fino ad arrivare a Roma. Lo scenario che si prospetta per gli anni a venire, se non ci sarà una netta inversione di tendenza, una corposa boccata d’ossigeno, è di macelleria sociale. Non si rimandi più; è già più che tardi. Non si parta domani, ma oggi stesso. Non è stato fatto nulla sinora? Non è vero, ma non è abbastanza.  Questo tavolo del lavoro, questo laboratorio di idee per il rilancio lo attuerà la politica? Bene! Se non lo fa, se ritarda, con uno scatto di dignità, parta la società civile. Una buona volta.

diego.vanni@collenews.it

Twitter Vanni cronista 2