Fabio Bernardini (Possibile)

Fabio Bernardini (Possibile)

Collesalvetti In vista del referendum del 17 aprile prossimo, nel quale gli elettori si pronunceranno sull’abrogazione o meno della norma che concede di protrarre le concessioni per estrarre idrocarburi entro 12 miglia nautiche dalla costa italiana sino all’esaurimento della vita utile dei rispettivi giacimenti, la sezione colligiana di Possibile, la formazione politica che fa capo all’ex dissidente PD Pippo Civati, prende una netta posizione in favore del Sì.

 

«Il Sì al quesito referendario del 17 Aprile – scrive Fabio Bernardini in un comunicato – non è solo un si per bloccare l’ennesimo regalo del Governo alle multinazionali del settore. È anche un Si per fare in modo che il nostro Paese, per una volta, sia precursore anziché fanalino di coda, nel dare una spinta decisa alla politica energetica verso le risorse rinnovabili, perché ci sono tantissime alternative valide al fossile, che potrebbero migliorare il futuro nostro e dei nostri figli. Questo Governo ha ormai pienamente tradito il proprio mandato elettorale, soprattutto in materia ambientale, e andando a votare Domenica 17 Aprile, possiamo riappropriarci di un diritto decisionale che ci è stato tolto con le ultime elezioni politiche. Dove si è promesso di tutto, salvo poi scoprire che sono soggetti come Total a scrivere gli emendamenti per il Governo. Una situazione del genere non è più accettabile, per l’ennesima volta si concedono favori sulla pelle dei cittadini, bypassando, ormai regolarmente, la volontà popolare».

 

dépliant Possibile referendumLo scontro fra due diverse politiche energetiche «Per queste ragioni il referendum del 17 aprile si è trasformato in uno scontro tra due diverse politiche energetiche: da un lato quella basata su un modello di sviluppo sostenibile, con l’uso maggioritario di fonti rinnovabili, dall’altro la visione tradizionalista in cui i fossili rappresentano ancora la sola fonte capace di farci accendere le luci in casa. La scarsa informazione dei media è stata concentrata sui falsi allarmismi del Governo, quali il calo degli occupati nel settore ed un futuro da schiavi dello straniero per l’energia a noi necessaria. Le cose, come spesso accade, sono molto più semplici e meno drammatiche di quello che sembrano. Considerando infatti il numero di trivelle presenti entro le 12 miglia (poche a dire il vero) e le strutture assimilabili, scopriamo che non si arriva a contare più di 100 impianti per una produzione, tra gas metano e petrolio, pari quasi al 3% del fabbisogno nazionale».

 

Il numero dei lavoratori «Ancora più interessante appare l’aspetto legato al numero dei lavoratori del settore, altro argomento terroristico usato dai sostenitori dell’astensionismo: meno di 100 operanti sulle piattaforme e quasi 2000 come occupati indiretti. La vittoria del SI non comporterebbe affatto la perdita netta dei posti di lavoro e nemmeno il blocco dei pozzi ma, semplicemente, determinerebbe nuovamente l’entrata in vigore della legge del ’91, già operante prima dello “Sblocca Italia”, che prevedeva la proroga della concessione dei pozzi di cinque anni in cinque anni, e non all’infinito. In caso di vittoria dell’astensione infatti i soggetti che estraggono da tali piattaforme, vedrebbero rinnovata la concessione senza un limite temporale, bensì sarebbero legati ad un fantomatico “fino ad esaurimento del giacimento” che gli permetterebbe di rimanere sulla piattaforma senza dover rendere conto a nessuno dei volumi estrattivi, e potenzialmente restare ancorati all’infinito, evitandosi così di dover spendere denaro per lo smantellamento e la bonifica delle aree interessate. E’ inoltre assurdo asserire che si perderebbero posti di lavoro, in quanto di per sé quel tipo di mestiere è legato a dei limiti temporali, basati appunto sulle concessioni, e dovrebbero essere i piani industriali di queste aziende in grado di ricollocare i lavoratori delle piattaforme prossime alla scadenza che devono essere dismesse, presenti sui nostri mari fin dagli anni settanta».

 

«Il NO comporterebbe una costosa procedura d’infrazione» «Pertanto, posto che risulta pacificamente assurdo concedere per sempre ad un privato lo sfruttamento di una risorsa che appartiene a tutti, è necessario evidenziare come la Legge renziana si palesi come illegittima, in quanto una durata a tempo indeterminato delle concessioni viola le regole sulla libera concorrenza. Tale normativa – è la conclusione di Bernardini – si pone in palese contrasto con il diritto europeo che, in materia di estrazione di idrocarburi, prescrive il divieto di proseguire l’estrazione oltre la durata stabilita dall’autorizzazione concessa e che solo in via eccezionale (e non in via generale e a tempo indeterminato) il legislatore statale possa prevedere proroghe della durata delle concessioni. Questo significa che la vittoria del NO implicherebbe la sicura apertura da parte dell’Unione Europea di una costosa procedura d’infrazione in danno dell’Italia, e noi non potremmo nemmeno consolarci con un bel bagno nei nostri mari finalmente puliti. Allora bisogna chiedersi se davvero vale la pena correre questo rischio di tutti per il vantaggio di pochi».

 

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